Rock per la festa del papà: top 10 songs

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Di Redazione Metropolitan

Rock e papà un tempo erano un binomio pressoché antitetico. E’ parecchio buffo se ci si ripensa, giacché, oggigiorno, a trasmetterci la passione per la musica rock, sono stati proprio i papà. E chi non vuol bene al proprio papà? Chi non vorrebbe celebrare la sua giornata con una bella top 10 di canzoni rock dedicate ai nostri amati papà? Piccola precisazione: come per le liste pubblicate nei giorni di San Valentino e San Faustino, vigono le stesse regole: ogni classifica è opinabile e non va presa come un dogma.

Pertanto, preparate i vostri dolcetti fatti in casa, portateli a letto ai vostri papà e fategli ascoltare un po’ del suo amato rock. Cominciamo!

10. Had a Dad – Jane’s Addition

Nothing’s Shocking – 1988

Partiamo subito con il botto. Dall’album più celebre e apprezzato dei Jane’s Addition, oltre alle più famose “Jane Says”, “Mountain Song” e “Ocean Size”, peschiamo “Had a Dad”, perfetto esempio delle eclettiche abilità liriche di Peter Farrell. Diciamo così poiché, nella sconfinata lista di temi trattati dalla band in questo disco, quelli dei rapporti familiari e di amicizia, sotto certi aspetti, potrebbero apparire quasi in secondo piano, a fronte dei tanti riferimenti alle insofferenze giovanili, tuttavia, proprio per tali profondità, considerare Farrell come uno dei maggiori songwriter della storia recente del rock alternativo è d’obbligo.

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9. My Father’s Eyes – Eric Clapton

Pilgrim – 1998

Se c’è un artista che rappresenta appieno la condizione di padre è proprio Eric Clapton. Una delle sue hit più famose, “Tears in Heaven” (1993), fu dedicata proprio al figlio Conor, morto nel 1991 all’età di quattro anni precipitando giù da un palazzo. “My Father’s Eyes”, pubblicata cinque anni dopo quel singolo, confronta quella tragedia con il rimpianto dell’autore il quale, a sua volta, non conobbe mai il suo vero padre. Una canzone dal testo profondamente introspettivo, sorretta da un’architettura sonora quasi pop, condita da uno stupendo assolo di acustica di slowhand.

8. Teach Your Children – Crosby, Stills, Nash & Young

Deja Vu – 1970

Chitarre acustiche, coretti e pedal steel guitar: siamo tornati nel country degli anni Settanta. Un brano dolce che nasconde un significato molto più acre; Graham Nash, l’autore, tentò di raffrontare la storia di un dialogo generazionale tra i padri che avevano combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale e i figli che erano costretti a patire le sofferenze del Vietnam. Ne esce fuori un affresco quasi rurale, tratto da uno degli album più gloriosi della storia della musica a stelle e strisce.

7. Paranoid Eyes – Pink Floyd

The Final Cut – 1983

L’album più discusso. Ufficialmente l’ultimo disco dei Pink Floyd con Roger Waters in formazione, ufficiosamente il suo primo solista. Non sarà un album riuscitissimo e, di certo, al pari del precedente “The Wall”, ben lontano dagli immaginifici Pink Floyd della triade “Ummagumma” (1969), “Atom Heart Mother” (1970) e “Meddle” (1971), tuttavia, dal punto di vista della poetica, “The Final Cut” rappresenta l’apogeo della scrittura di Waters all’interno della band. Un intero album che si schiera contro la Thatcher e contro la guerra delle Falkland, ripescando la storia del padre di Roger – già narrata in “The Wall” -, morto ad Aprilia nel 1944. Si potrebbe definire l’intero disco come dedicato alla figura di suo padre e, senza dubbio, questa “Paranoid Eyes” ne è la gemma più preziosa.

6. Cat’s in the Cradle – Harry Chapin

Verities & Balderdash – 1974

Un classico senza tempo. Negli states, “Cat’s in the Cradle” è la canzone per la festa dei papà. Un brano semplice, con quell’indimenticabile riff di chitarra acustica e il ritornello, ironicamente legato ai personaggi di fantasia che i padri inventano per giocare coi loro bambini, che diventa malinconico nell’ultima iconica strofa, quando il papà, finalmente, vede ritornare il figlio, ormai divenuto un uomo come lui. Degna di nota è anche la versione degli Ugly Kid Joe, tuttavia, come per le precedenti classifiche, ci piace premiare l’originale.

5. My Father’s House – Bruce Springsteen

Nebraska – 1982

Durante i chiassosi e plastificati anni Ottanta, l’artista che incarnava appieno la quintessenza del rock, tirò fuori “Nebraska”: un disco registrato in campagna, con una chitarra acustica, un set di armoniche e un mixer a quattro tracce. “My Father’s House” è uno dei brani più struggenti contenuti all’interno di questo album perla, e, come anticipato in “Independence Day” – presente in “The River” (1980) -, il boss della musica rock si cimenta a ripercorrere il difficile e logoro rapporto con il papà, vivendo l’intera storia come un rimpianto. Quando il rock si fa poesia.

4. Bridge Over Troubled Water – Simon & Garfunkel

Bridge Over Troubled Water – 1970

Difficilmente, senza quel sempiterno capolavoro di film che è “Il Laureato”, oggi, quando si pensa a un duetto acustico, Simon & Garfunkel verrebbero in mente. Peccato che fu proprio questo album a sancire la fine del sodalizio e le successive carriere soliste dei due. Tuttavia, il canto del cigno di un duetto così amato all’epoca, è qualcosa di meraviglioso. Un brano scritto da Paul Simon in pochissimo tempo, cantato da Art Garfunkel in una veste quasi gospel e arricchito dal maestoso finale. Inizialmente, come dichiarato da Simon, il brano indicava nel “ponte sulle acque tumultuose”, una persona che si occupava di sostenere il proprio caro nei momenti difficili, con un evidente riferimento alla figura genitoriale. Tuttavia, l’ultima strofa – richiesta dal produttore – direzionò il testo verso la prima moglie di Simon, invecchiata precocemente. In buona sostanza, più che una canzone d’amore, a questo punto, potremmo definirla una canzone “d’affetto”.

3. Rooster – Alice in Chains

Dirt – 1992

Esistono diversi attributi utili a definire il secondo album della band di Seattle: maestoso, superbo, magnifico, una gemma. Scegliete quello che volete. Le liriche oppressive e intense di Layne Stanley, una delle icone degli anni Novanta, portano in luce una tematica che abbiamo già affrontato parlando di Roger Waters: il padre deceduto in guerra. “Rooster”, con il suo andamento compassata, la rudezza della band più metallara del grunge, e la poderosa voce di Stanley, è a tutti gli effetti classificabile come una delicata poesia sorretta da durissime chitarre distorte. Soffocare nella melma non è mai stato così meraviglioso.

2. Father and Son – Yusuf / Cat Stevens

Tea for the Tillerman – 1970

Un brano iconico. Così iconico che ridurlo a una semplice manciata di righe non sarebbe sufficiente, pertanto, vi rimandiamo alla splendida retrospettiva pubblicata stamani sempre sui nostri canali di Metropolitan! D’altronde, se oggi annoveriamo Cat Stevens – o Yusuf Islam – tra i più amati cantautori nel panorama britannico, gran parte del merito lo dobbiamo a questo brano.

1. Alive – Pearl Jam

Ten – 1991

Come si fa a non sentirsi travolti ogni volta che si ascolta quel riff iniziale? Assieme a “Nevermind” dei Nirvana, al già citato “Dirt” degli Alice in Chains e a “Badmotorfinger” dei Soundgarden, “Ten” è il manifesto dell’esplosione grunge dei primi anni Novanta. Benché i dischi differiscano parecchio l’un l’altro, il testo di “Alive” scritto da un Eddie Vedder ancora benzinaio a San Diego, è una delle testimonianze di quel sapore nichilista e disilluso che caratterizza la poetica grunge: un adolescente finisce per cadere in una spirale depressiva e di autolesionismo dopo aver scoperto che il suo papà altri non è che il suo patrigno. Si tratta di un racconto autobiografico, romanzato proprio da Vedder in una delle primissime prove del suo infinito talento autoriale.

MANUEL DI MAGGIO

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