Lo Sharenting è un neologismo nato per delineare il fenomeno per il quale molti genitori, quasi compulsivamente, tendono a condividere qualsiasi momento, intimo o più superficiale, riguardante i propri figli. Una pratica che si sta espandendo sempre di più, soprattutto grazie all’utilizzo dei social network.
Sharenting, il dilagante fenomeno dei bambini in ”vetrina”
Il termine Sharenting è stato coniato nel 2010 per riferirsi a un ormai fenomeno dilagante: la tendenza che porta alcuni genitori a mostrare abitudini, immagini e stili di vita riferito ai propri figli. La pratica, sostanzialmente, consiste nella condivisione di contenuti – a volte anche intimi – sul web e sui social network nello specifico. L’origine di questo neologismo sincratico si attribuisce al Wall Street Journal in cui per descrivere il fenomeno sociale si utilizzava l’espressione oversharing. La parola sharentig, infatti, nasce dall’unione dei termini “sharing” (condivisione) e “parenting” (genitorialità).
Da un lato c’è chi mette in guardia da questa eccessiva condivisione; si sottolinea come la pratica violi la privacy del minore. Dall’altro lato, i sostenitori accostano lo Sharenting a un esempio di positività; una naturale tendenza del genitore alla condivisione poiché orgoglioso dei propri figli. La prassi genitoriale di registrare sistematicamente i progressi educativi di un bambino esiste dalla notte dei tempi; non era infatti inusuale che, alla nascita, si regalasse un albo in cui trascrivere tutto ciò che riguardasse il neonato: altezza, colore degli occhi, cambiamenti vari, oltre alle foto. Oggi, tuttavia, immortalare ogni momento educativo significa non solo registrarlo per custodire un ricordo ma equivale anche a rendere partecipi di quell’istante una fetta sempre più in aumento di utenti: la condivisione intima diventa pubblica e a disposizione di sconosciuti, ponendo l’atto di sovraesposizione ad alto rischio.
La nuova forma di narcisismo produrrebbe nei soggetti un continuo bisogno di piacere che avrebbe le radici nel timore di rimanere esclusi: questa nuova forma di narcisismo non sarebbe limitata ai protagonisti dello “star system”, ma, per effetto delle tecnologie digitali, si estenderebbe a qualsiasi
cittadino, sempre più alla ricerca del warholiano “quarto d’ora di celebrità”, da conquistare non più sporadicamente, ma in modo sistematico all’interno della propria cerchia di legami ma anche oltre.Di Bari, Cosimo.
“L’infanzia rappresentata dai genitori nei social network: riflessioni pedagogiche sullo sharing”.
Studi sulla Formazione/Open Journal of Education 20.2 (2017): 257-271.
Sembra chiaro, dunque, che l’impellenza di documentare ogni attimo educativo sia, ormai, diventato un bisogno comune sempre più diffuso: la tecnologia, a tal proposito, è diventato un mezzo per richiamare l’attenzione dell’altro attraverso immagini ricorrenti che celano un’ossessiva forma di condivisione.
Rivoluzione digitale: i rischi della condivisione
L’infanzia dell’attuale nuova generazione è quella più sovraesposta di tutti i tempi e Sharenting è solo un termine ombrello che racchiude copiosi rischi. Qualsiasi cosa diviene, irreparabilmente a volte, un prodotto di consumo vorace, veloce, simultaneo e temporaneo: la condivisione dell’immagine online ricalca questa quadriga. Se da un lato un possibile beneficio dello Sharenting potrebbe essere quello di uno scambio di esperienze genitoriali fra un utente e l’altro, la dietrologia che emerge da questa pratica ottenebra gli eventuali e rari aloni di positività. Molto spesso non ci si pone il problema per un’ingenua inconsapevolezza dell’atto in sé: eppure, molti genitori condividono informazioni sulla prole che li immortala in situazioni intime e, a volte, al limite dell’imbarazzo; materiale a cui tutti possono accedere e che un domani, proprio perché online, potrebbe essere oggetto di scherno.
Per di più si tende a non prendere in considerazione il diritto alla privacy del minore: ovviamente, il bambino non dà il consenso per la condivisione e spetterebbe all’adulto sottoporlo a tutela. Il bambino, prima di essere un fanciullo, è una persona che un domani crescerà e dovrà fare i conti con l’identità digitale che il genitore ha costruito per lui sul web. C’è da chiedersi: un ex bambino che detiene nei meandri del web la documentazione minuziosa della sua crescita, a quali effetti va incontro nella futura vita da adulto? Un adolescente che ha già una precedente storia digitale rischia, fra le altre cose, possibili fenomeni di Cyberbullismo. Non sono da sottovalutare altre due questioni spinose: il fenomeno del ”rapimento digitale” e la facilità con cui la pubblicazione di immagini riguardanti i minori dia accesso ai malintenzionati di acquisire materiale da utilizzare per scopi pedopornografici.
Come suggerito anche da Duggan e colleghi (2015[57]) , i genitori tendono a giustificare la loro condivisione con il desiderio di coinvolgere i loro familiari e amici intimi nella crescita dei loro figli, e quindi le piattaforme di social media sono diventate “mezzi per condividere notizie di famiglia” (Lazard et al., 2019, p. 7[58]) . Tuttavia, come sostenuto da Ouvrein e Verswijvel (2019, p. 8[59]), la condivisione può anche essere vista come “una forma di auto-presentazione indiretta” poiché i genitori spesso mirano a dimostrare le proprie competenze genitoriali attraverso la creazione di contenuti online.
Digital parenting and the datafied child | Educating 21st Century Children : Emotional Well-being in the Digital Age | OECD iLibrary, su oecd-ilibrary.org.
Sharenting, il moderno edonismo del consumo
Senza addentrarsi nella sfera del significato e significante che appartiene alla genitorialità, è utile analizzare la mediazione che la tecnologia esercita sul rapporto genitore-figlio. Per prima cosa il genitore, quasi inconsciamente, impara a vivere i momenti di crescita del piccolo come uno ”spettatore”: quindi attraverso foto e video. Si è portati non a vivere nel reale momento ma a immortalare l’azione e postarla trasformandola, irrimediabilmente, in contenuto accessibile a tutti. Attraverso questo modus operandi è facile che il bambino non percepisca il genitore nella sua totalità ma di riflesso, tramite il dispositivo in uso; ovviamente con ripercussioni sul processo di crescita e instaurazione del legame oltre che sulla sintonia fra il minore e il caregiver. La logica dell’edonismo del consumo è ben descritta da Pier Paolo Pasolini negli Scritti Corsari: una ricerca costante del profitto che induce a modelli che si affermano nell’omologazione e nel conformismo della massa.
Ai tempi era la televisione che, attenzione, Pasolini non ha mai criticato come strumento tecnico ma come strumento di potere: un potere che oggi è dato da uno smartphone e da internet e che ha cambiato anche la concezione di consumo il quale, attualmente, si potrebbe definire ”fruibile”; l’aumento del consumo cresce in segno di soddisfazione di un bisogno, a sua volta indotto dalla pressione sociale e da fenomeni sociali diffusi e imitati tra la maggioranza della popolazione. L’abuso della tecnologia, in questo senso, si riflette in una sorta di alienazione evidente che nell’ottica puramente marxista delinea il progressivo allontanamento dalla realtà concreta: in questa accezione, le vittime maggiori sono proprio coloro i quali appartengono a una società industriale avanzata.
Francia, la proposta di legge per limitare la condivisione delle foto dei figli e l’educazione mirata all’utilizzo dei social
Bisogna distinguere lo Sharenting del genitore comune da quello dell’influencer o del personaggio pubblico che, probabilmente, attua questa pratica con una consapevolezza in più: l’aumento dell’engagement e la probabile, eventuale, monetizzazione sul contenuto postato. In Francia, intanto, è stata proposta una legge che mira a scoraggiare la pratica e che limiterebbe la condivisione dei bambini sui social. Il deputato Bruno Studer nella proposta di legge, citando un rapporto del 2018 del Children’s Commissioner for England, ha asserito che la stima fatta sull’esposizione di un bambino si aggira in media intorno alle 1.300 fotografie pubblicate online prima dei 13 anni, su account che appartengono a genitori o familiari. Il disegno di legge è stato proposto per garantire ai minori un diritto alla loro immagine togliendola, di fatto, ai genitori.
I social non sempre possono dirsi una realtà trasparente e, si sa, dietro ogni profilo che funziona bene esiste un piano editoriale e una strategia mirata. In questo senso l’utente-consumatore è attratto dal contenuto divertente ed emozionale di un bambino: quello specifico contenuto fa leva emotiva sul pubblico, determinando la reazione dell’utente che è dettata e modulata da un concreto coinvolgimento emotivo. Uno sfumare di ruoli in cui diventa sempre più difficile capire chi è il prodotto; risulta chiaro, quindi, che è sempre più urgente una educazione all’uso dei social in modo consapevole, oltre che una maggiore tutela per i minori, ammettendo con onestà intellettuale che la funzione dei social network non è più quella della sua genesi primordiale che mirava all’intrattenimento ma, oggi,la sua evoluzione cela, anche, dinamiche oscure e poco limpide.
Stella Grillo
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