Shibusa, parole dal mondo: quando la bellezza è sinonimo di semplicità

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Di Stella Grillo

Shibusa - Photo Credits: lacooltura
Shibusa – Photo Credits: lacooltura

Shibusa, un termine che si riferisce all’estetica giapponese. Successivamente, con questa espressione si volle indicare la sobrietà derivante da una bellezza semplice e senza fronzoli. Nel nuovo appuntamento della rubrica del martedì, Parole dal Mondo, un viaggio nelle antiche – e attuali! – filosofie del mondo nipponico.

La pura bellezza priva di fronzoli

Il termine ha origine nel periodo Muromachi (13361573), fra il 1336 ed il 1392: inizialmente reso come come shibushi, il suo utilizzo si riferiva, per lo più, alla descrizione riguardante il gusto acerbo di alcuni alimenti. Il suo contrario è amai che significa dolce. Tuttavia, All’inizio del periodo Edo (16151868), la stessa parola si associò ad uno specifico canone estetico: quest’ultimo, mirava ad un tipo di bellezza poco appariscente. In seguito, infatti, l’uso di questa espressione iniziò a riferirsi all’ambito della moda, della musica e dell’arte. Sostanzialmente divenne un ideale estetico a cui aspirare; il termine shibusa, rifletteva tutto ciò che emanasse una bellezza oggettivamente semplice e non artefatta, pura e senza artifici in oggetti, persone, canzoni, manifestazioni, luoghi.

Shibusa, shibumi e shibui: la tripletta della sobria beltà

Shibui, forma aggettivale dei sostantivi shibumi, o shibusa, rappresentano una terminologia giapponese che, semanticamente, racchiude lo stesso significato: una bellezza raffinata e non vistosa. Il concetto di estetica in Giappone, infatti, è un vero e proprio ideale da integrare in ogni aspetto della vita quotidiana. Il fine della filosofia giapponese e dell’ideale che i termini riflettono, non è quello di ricostruire un tipo beltà fuggevole e superficiale. Lo scopo è cercare l’autenticità della bellezza in sé, coniugando aspetti contrastanti: si è alla ricerca di un’estetica raffinata, nascosta, celata all’approssimazione. La peculiarità è un tipo di ideale estetico non sfacciato, riservato, quasi timido, da scoprire poco a poco pregustandolo ed apprezzando ogni sua sfumatura. Il tipo di bellezza più elevato, quindi, che collima con la purezza del concetto stesso.

Shibusa - Photo Credits: Pinterest
Shibusa – Photo Credits: Pinterest

Nel 1960, Yanagi Sōetsu, direttore del Museo di Arti e mestieri popolari di Tokyo, descrisse minuziosamente le qualità che termini come shibusa o shibumi volevano esprimere:

  • Semplicità: ovvero, ciò che è austero, non complesso, disadorno da orpelli: un esempio sono gli interni delle case giapponesi;
  • Implicito: dal significato intrinseco da ricercare all’apparenza, lasciando libertà sulle interpretazioni del significato. Un valido esempio, il giardino zen del tempio Ryoan-ji a Kyoto;
  • Modestia: la non glorificazione della propria bellezza, intesa come esaltazione non del proprio Io, ma del contesto di cui ci si circonda;
  • Tranquillità: la compostezza, la pacatezza, la sobrietà: il clima tranquillo che, spesso, si ritrova durante la cerimonia del tè, usuale rito sociale in Giappone;
  • Naturalezza: la placidità, l’esser sommessi che non propende ad attrarre l’attenzione su sé stessi;
  • Ruvidezza: l’asimmetria tipica di ciò che si trova in natura, l’esaltazione della naturale asimmetria: un esempio è la corteccia degli alberi;
  • Normalità: un richiamo alla purezza intesa come assenza di contaminazioni: ciò che è complesso o lussuoso, non ricalca la filosofia shibusa.

Un vero e proprio stile di vita, dunque, rinvenibile in ogni ambito del quotidiano: nell’arte dove si prediligono colori semplici, nel lessico privo di arzigogoli. Una concezione, quindi, che bandisce ogni forma di ostentazione.