Stoicismo e tranquillitas: Seneca e il raggiungimento dell’equilibrio interiore

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Di Stella Grillo

Stoicismo, la dottrina filosofica nota soprattutto per essere stata messa in atto dal filosofo Seneca. In questa nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, uno sguardo alla dottrina dell’equilibrio ed al De tranquillitate animi.

Stoicismo ed epicureismo: lògos e caso

Avendo già trattato il concetto di tempo nel De Brevitate Vitae e la libertà e la forza interiore nelle Epistole morali a Lucilio in cui, Seneca, esplicita chiaramente le basi del suo pensiero, è utile focalizzarsi anche sul discorso stoico. Il pensiero di Lucio Anneo Seneca è influenzato dallo stoicismo e dall’epicureismo: dalla prima dottrina si esalta l’idea in cui l’uomo possa ottenere felicità e libertà interiore attraverso il dominio delle proprie passioni. La vera felicità non è data dalle faccende degli occupati, riferendosi a coloro che praticano gli otia ed i negotia, e nemmeno dagli agi: solo dalla virtù. L’epicureismo sostiene che il mondo ha origine dalla casualità; lo stoicismo, invece, sostiene che alla guida dell’esistenza vi sia il lògos , ovvero, la ragione divina e provvidenziale.

Autarkeia, Stoicismo e Platonismo

L’uomo, per raggiungere la felicità e l’equilibrio interiore deve mettere in pratica la virtù. Il saggio è indicato come colui che mette pratica l’autarkeia: questo concetto esalta indipendenza e autonomia dell’animo. Sua peculiarità è allontanare da sé ciò che è futile e superfluo. Volgersi solo alla ricerca del bene, condizione che può essere messa in pratica attraverso l’otium. L’otium è la condizione per la quale ci si dedica al raccoglimento ricercando la perfezione morale.

Stoicismo, Tranquillitas e Dialoghi di Seneca  - Photo Credits: amazon
Stoicismo, Tranquillitas e Dialoghi di Seneca – Photo Credits: amazon

Non l’inerzia degli occupati che spendono il fluire dei giorni in attività poco proficue al loro perfezionamento; ma una meditazione che ricerca l’ottenimento della libertà e dell’equilibrio interiore. L’influenza derivante dall’epicureismo, indiceva, invece, il concetto secondo il quale non era necessario temere la morte, intimando a vivere i giorni a pieno come se fossero gli ultimi. Mentre dal platonismo si riprende il concetto di conoscenza: l’uomo può raggiungere il sapere, e quindi il bene, attraverso la filosofia. La conoscenza è l’unica peculiarità umana che permette all’individuo di distinguersi dagli animali.

De tranquillitate animi, il concetto di Tranquillitas

Il De tranquillitate animi è il nono libro dei dialoghi di Seneca. Lo scritto sboccia da una situazione storica scricchiolante che coinvolse lo stesso filosofo. La sua posizione accanto all’imperatore Nerone inizia a vacillare: è costretto all’accettazione di numerosi compromessi. Dopo una similitudine con Atenodoro, – che ai tempi fu direttore di coscienza di Augusto – impegnato a districarsi e svincolarsi dai doveri di corte, Seneca appura che a lui non è possibile lasciare bruscamente la sua funzione pubblica: Nerone deve dare il suo consenso. Seneca riflette fra la pratica di un congedo prudente o un brusco abbandono con le conseguenze del caso, quindi, la rovina. Da questa precarietà d’animo che lo costrinse a stare in bilico fra le due scelte nasce il De tranquillitate animi, un manuale per mantenere un certo decoro ed equilibrio interiore. L’accezione del termine Tranquillitas è ripresa dal filosofo greco Democrito: quest’ultimo esortava a ricercare un equilibrio non affannandosi a perdere tempo in faccende vane. Questo concetto era definito euthymías. Scrive Seneca:

«Questo stabile fondamento dell’animo i Greci lo chiamano euthymía, su cui v’è un egregio libro di Democrito; io la chiamo tranquillitas. »

In seguito, si deve a Cicerone la resa del termine greco in Tranquillitas (serenità del cielo, bonaccia del mare); Seneca poi lo utilizzerà in modo più consolidato: basterà questo a far sì che il termine convogli al suo interno il significato semantico di “animo equilibrato”.

Metodi per risolvere il taedium vitae: i temi del dialogo

Inizialmente, nel dialogo, Seneca risponde alle domande dell’amico Sereno: quest’ultimo si chiede le differenze fra i concetti di otium e negotium e le risoluzioni del taedium vitae: il quotidiano che genera inquietudine. Sereno è titubante: si chiede se sia il caso di spendere un’esistenza ritirandosi in privato o coltivare la brama di una vita pubblica. Rivolgendosi a Seneca per dissipare ogni dubbio, si dà il via alla trattazione che descriverà la differenza fra epicureismo e stoicismo. Il filosofo analizza le passioni dell’animo umano, confermando la tendenza degli uomini alla ricerca della mondanità: tuttavia, gli stessi per natura finiranno per perseguire la ricerca di uno spazio personale e contemplativo; ciò deriva dalle pressioni del mondo pubblico che generano un desiderio di fuga. Si riprende, quindi, l’esempio di Atenodoro sotto il principato di Augusto. Ciò non significa che la vita privata sia sinonimo di pace: l’otium stimolerà il desiderio opposto, ovvero, il ritorno alla vita attiva. L’irrealizzazione del desiderio comporterà frustrazione: invidia per colui che riuscirà nei propri obiettivi, recando tedio esistenziale.

Assecondare la propria indole

La soluzione, per Seneca, è solo una: vivere secondo la propria indole. Gli individui che possiedono attitudini che si riflettono nella vita attiva, sono legittimati alla partecipazione della vita pubblica: tuttavia, devono essere consapevoli dei rischi che corrono. La soluzione più idonea sarebbe il raggiungimento dell’atarassia, ovvero, la perfetta pace dell’anima scevra da passioni. Ma, ma nella vita quotidiana non è una soluzione praticabile. Il saggio è colui che non annulla le passioni ma le modera: il fine è quello di indirizzare le energie in un miglioramento della società. L’armonia fra otium e vita pubblica.

«Dunque cerchiamo il modo per cui l’animo abbia un andamento sempre uguale e favorevole e sia propizio a se stesso e guardi lieto ai suoi beni e non interrompa questa gioia, ma resti in uno stato placido senza mai sollevarsi o deprimere. Questa sarà la tranquillità»

Seneca quindi suggerisce una mediazione fra vita attiva e vita contemplativa: otium e impegno politico tipico del civis romano. Fondamentale sarà preservare la serenità interiore e la capacità di essere un esempio personale giovando alla comunità.