Da «Cosa resterà di questi anni Ottanta?» a «Gli anni d’oro del grande Real» il passo è breve; brevissimo, quando c’è di mezzo Sydney Sibilia. Dopotutto, il regista salernitano, classe 1981, è nato e cresciuto in questi due iconici decenni, respirandone a pieni polmoni i cambiamenti culturali, usi e costumi e, soprattutto, ascoltandone le canzoni. Ovvio, dunque, che tutto questo abbia influenzato i suoi gusti e le scelte artistiche.
A dirla tutta, la sua passione per gli ’80/’90 è storia recente. Dopo una serie di cortometraggi e parentesi televisive, Sibilia si è fatto conoscere dal grande pubblico grazie alla trilogia di Smetto quando voglio, ambientata negli attualissimi Duemila. Con L’incredibile storia dell’Isola delle Rose (2020), al contrario, ha fatto un salto indietro nel tempo fino al 1° maggio 1968, giorno della fondazione della micronazione ideata dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa nel 1958 e terminata nel 1969, costituita da una piattaforma artificiale nell’Adriatico. Presente e remoto del nostro Paese, quindi. Eppure, per chi è diventato grande con un walkman in mano, il naturale passo successivo non poteva che essere il passato prossimo della musica italiana.
Sydney Sibilia: Mixed By Erry e i cotonati anni Ottanta
Titolare, insieme al collega e amico Matteo Rovere, della casa di produzione Groenlandia, Sydney Sibilia ha un’abitudine. Quando ha un’idea, la “testa” sulle persone a lui vicine, magari accennandola ad una cena tra amici. A Vanity Fair ha dichiarato: «Parto lento. Provo a dire “ma lo sapete di quella storia di quel ragazzo” e, intanto, cerco di capire come le storie attecchiscono e come la gente reagisce». La reazione dev’essere stata molto positiva di fronte al racconto che ha portato alla realizzazione di Mixed By Erry. Il film del 2023, infatti, mostra la vera storia dei fratelli Frattasio, che, a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta, hanno creato un impero basato sulla contraffazione delle musicassette, dando vita al reato di pirateria.
Sullo sfondo, i favolosi Ottanta e, in particolare, i suoi brandi simbolo, selezionati con cura dallo stesso Sibilia, da Sweet Dreams (Are Made Of This) degli Eurythmics ai Jackson Five con I Want You Back, senza naturalmente dimenticare l’inno di fine decennio di Raf. Un’epoca di rivoluzioni, cotonature e abiti fluo, ricostruita al dettaglio da chi ha vissuto in prima persona tutto questo. Incluse, neanche a dirlo, le compilation di Erry, ricordo d’infanzia dello stesso cineasta. La meticolosità nella cura dei particolari, dalla copia carbone del Teatro Ariston del 1991 alla presenza di canarini in quasi tutte le case della penisola, come la moda comandava, dimostra l’impegno e la volontà di far rivivere un periodo che, nel cuore di chi c’era, sembra ancora vicinissimo, ma che, sulla carta, ha già spento le quaranta candeline.
Hanno ucciso l’Uomo Ragno e l’eterno fascino degli anni Novanta
Se, per Sibilia, gli Eighties sono stati il teatro della sua età più tenera, i Nineties lo hanno visto diventare adolescente. Le Kodak usa e getta, i Super Liquidator, le jelly shoes, ora tornate alla ribalta, l’avvento del Game Boy. E poi, ovviamente, i re assoluti del Festivalbar, gli 883. Hanno Ucciso l’Uomo Ragno-La leggendaria storia degli 883, disponibile da oggi su Sky e in streaming su NOW, è un omaggio a loro e alla sua giovinezza. Partendo dal liceo, passando per la formazione del gruppo, fino al suo strepitoso successo, gli otto episodi della serie si propongono come un vero e proprio teen drama. «La prima puntata omaggia Ovosodo, la seconda Superbad, la terza è a cavallo tra Notte prima degli esami e Beverly Hills 90210.», parola dello stesso Sydney.
Max Pezzali e Mauro Repetto sono stati la voce di una generazione, e la loro fortuna sta proprio nell’essere stati, tutto sommato, dei ragazzi come tanti. Semplici, cresciuti nella provincia e desiderosi di “sfondare”. Proprio come Sydney Sibilia, proprio come tutti gli altri. Un telefilm che è la fotografia degli anni Novanta, delle speranze, paure e illusioni di allora, e di una società sempre più veloce, che perde dietro di sé pezzi di un mondo ormai antico, per far spazio a nuove tecnologie, abitudini, realtà. La dramedy sulla band lombarda è «un’istantanea di cose vissute», ma attenzione a chiamarla operazione nostalgia. Piuttosto, è la dimostrazione che, indipendentemente dal fatto che il proprio anno di nascita inizi per 19 o 20, le sensazioni provate restano sempre le stesse.
Sydney Sibilia, patrono degli ’80/’90
Gli anni Ottanta e Novanta, ormai a un passo dall’essere etichettati come vintage, sono vissuti dai millenials come un tuffo dolceamaro nella memoria. Un’eco di giorni più spensierati e leggeri, senza il carico delle responsabilità che l’età adulta porta irrimediabilmente con sé. Per i gen z, invece, sono un’epoca lontana, conosciuta solo attraverso gli aneddoti di genitori e parenti e guardata con un certo scetticismo, misto però a curiosità. A correre in loro aiuto, i social. Spesso, infatti, le piattaforme come TikTok contribuiscono a rendere virali vecchi successi di allora, facendoli tornare in vetta alle classifiche. Anche il fashion, con i suoi corsi e ricorsi storici, fa il suo. Quanti must have degli armadi di tutti i teenager che furono abbiamo visto tornare? Gli intramontabili Levi’s 501, le camice di flanella a quadri, gli abiti sottoveste, i blazer oversize e molti altri.
La riscoperta di trend e pezzi rimasti a lungo nella naftalina ha dunque gettato le basi per un ritorno in grande stile di una golden age mai realmente terminata. In questo scambio generazionale, le opere di Sibilia sono un punto di contatto tra giovani di ieri e di oggi. In fondo, quando ci piace qualcuno e siamo in attesa di un suo segno di vita, ha poca importanza che il messaggio arrivi su uno smartphone o finisca in segreteria telefonica. La strizza per gli esami di maturità è la medesima, sia indossando delle voluminose spalline, che un pullover burgundy all’ultimo grido. Siamo tutti simili a quel Massimo Pezzali nato a Pavia, e l’idea che lui, dopo tanto tribolare, ce l’abbia fatta, ci dona speranza per l’avvenire. La sua «stessa storia, stesso posto, stesso bar», è anche la nostra, e ci sarà sempre un Sydney Sibilia pronto a raccontarla.
Federica Checchia
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