Quello di “The visit” è un ritorno al cinema di Shyamalan decisamente in sordina, dove la sua personale declinazione della fu next big thing found footage prende la forma ma lascia da parte la sostanza.

Rebecca e Taylor sono due fratelli adolescenti che hanno l’occasione di vedere per la prima volta i nonni paterni. A causa di una relazione non condivisa dai genitori, l’allora giovane madre si vide chiudere in faccia la porta di casa, mai più riaperta nei successivi 19 anni.

“The visit”: un ritorno in minuscolo stile

Ora lei ha una nuova relazione che può coltivare in una settimana di crociera ai Caraibi. Dietro richiesta dei più o meno ricongiunti genitori, accetta che i figli passino presso di loro la settimana di sua assenza. Rebecca, filmmaker in erba, ha deciso di documentare il tutto con la propria videocamera. La sua speranza è di riuscire a stringere ulteriormente i rapporti tra la madre e i nonni. In una sperduta fattoria in campagna, le cose però iniziano presto a prendere una piega minacciosa. Sono tanto lontani da sembrare quasi irreali i tempi in cui M. Night Shyamalan veniva presentato come un nuovo Spielberg in fieri, capace dipingere storie brillanti e terribili con mano personale, elegantissima, deliziosa.

Dopo il centro pienissimo de “Il Sesto senso” (1999) il regista indiano ha inanellato una serie di pellicole che non sono mai stata sotto il livello dell’interessante. Lo stesso, da più parti sbertucciato “Lady in the water” ha il suo perché.  Quello che è stato il primo, clamoroso buco nell’acqua che ha stroncato una carriera che pareva in rapida ed inevitabile ascesa è stato l’incomprensibile “E venne il giorno” dove, quantomeno, in una enorme pozzanghera di inconcludenza ha saputo piazzare dei (pochi) momenti di grande regia. “L’ultimo dominatore dell’aria” e “After Earth” hanno dovuto fare a meno anche di questi ultimi. E la fossa si è rapidamente aperta sotto i suoi piedi.

Back to the basics

Ha fatto quindi un certo effetto, dopo la discreta esperienza con il serial “Wayward Pines”, pur stroncata nel giro di due stagioni, vederlo alla corte di Jason Bloom e della sua Bloomhouse Productions. Uno che per l’horror ha sempre avuto un più discreto fiuto. Ma abituato a lavorare con i franchise di successo, con la stesso ridotto numero di fidati registi.Ccon budget con cui il vecchio Shyamalan avrebbe potuto girare giusto un paio di scene. Quella del mockumentary sembra più un pretesto che altro. E la strumentazione ad alta definizione di cui si serve Rebecca a conti fatti è solo l’occasione per lasciar da parte i costi e le fatiche di una regia convenzionale e buttarla sul vecchio giochino dell’inquadratura sbilenca, della camera fissa et similia.

Meglio così, si dirà. Un (ex?) talento come l’indiano al servizio della più paracula delle soluzione cinematografiche sarebbe stata un’ulteriore mestizia di cui avremmo fatto volentieri a meno. Il problema è che la magia di Shyamalan sembra essersi persa anche per quanto riguarda la scrittura, di cui qui si occupa assieme al produttore Jason Bloom. “The visit” è un film che si lascia guardare, ma terribilmente convenzionale e poco sentito. Un horror d’atmosfera cui, nella prima parte, fanno da contrappunto delle soluzioni quasi comiche che se amalgamate con senso avrebbero avuto un suo perché, ma che così’ risultano posticce e poco utili al risultato finale. Una pellicola che nella sua progressione svilisce una dopo l’altra le pur ridotte aspettative che cotanto nome crea.

Troppe idee, nessuna idea

Troppe sottotematiche abbozzate, tirate fuori alla bisogna e lasciate a languire nell’indifferenza (la senilità, l’inesistente rapporto dei ragazzi con il padre). Spunti che è lecito sospettare siano stati buttati in mezzo più per allungare il brodo che per costruire qualcosa di solido. Ci si ritrova ad aspettare con discreta noia quel famoso twist narrativo che aveva reso Shyamalan un fuoriclasse della costruzione narrativa e della sua successiva distruzione. Il twist in effetti arriva e funzionicchia, ma è davvero poca cosa perché costruito su basi deboli, senza reale sostanza. In futuro Shyamalan non tornerà nemmeno lontano parente di quello che sarebbe potuto essere, stabilizzandosi su produzioni non eccezionali ma quantomeno godibili, come “Split” del 2016 con James McAvoy e la serie tv ”Servant”.

Andrea Avvenengo

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