Ebbing, Missuori: Mildred Hayes (Frances McDormand) è da mesi un spettro incandescente di rabbia, dolore e frustrazione. Sette mesi prima sua figlia è stata violentata e uccisa da uno sconosciuto e la polizia brancola ancora nel buio. Decide così di affittare tre enormi cartelloni lungo la strada nei pressi di casa propria e incollarci tre manifesti molto particolari.

Tre manifesti che chiamano direttamente in causa il capo della polizia locale Bill Willoughby (Woody Harrelson) e la totale inefficienza del suo lavoro. Il gesto attirerà su Mildred le ire di cittadini e polizia, in un crescendo di tensioni che cambierà la vita di tutti i protagonisti.

“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”: cronaca nera dalla fine del mondo

L’entropia ha un ritmo diverso a Ebbing, Missouri. Un ritmo decisamente più sostenuto. Cittadina immaginaria che una volta si sarebbe definita sonnolenta e ora, tagliata fuori dal mondo che produce e consuma, è cronicamente depressa, concentrata com’è in un continuo gioco di adattamento al ribasso. La frontiera, se ancora esiste, è altrove. Qui rimangono solo gli avanzi. Quegli enormi cartelloni pubblicitari che per così tanto tempo sono stati un pilastro di indiscutibile way of life, sono ora un belluino, disperato grido d’aiuto di una donna costretta ad affrontare l’inaffrontabile.

Uno specchio in cui Ebbing e i suoi cittadini non hanno alcun intenzione di riflettersi. Troppo grande la paura di scoprire ciò che non vogliono o sanno sfidare. Lo sa bene l’agente Jason Dixon (Sam Rockwell) picchiatore specializzato in colored, congelato in un’adolescenza infinita dove la mamma è il Verbo e il mondo è una selvaggia torre di Babele da affrontare manganello in mano.

“Tre manifesti a Ebbing, Missouri”: vecchie lezioni per nuove storie

Una pellicola capace di prendere quanto di più utile ai vari neo delle ultime stagioni cinematografiche – noir e western – e utilizzarli come strumenti per raccontare un mondo che funziona solo a scale di grigio. Qui il bene e il male, se mai lo sono stati, non sono più di casa. Non c’è giudizio, solo presa d’atto. L’agente Willoughby, amorevole padre, malato terminale e impotente rappresentante della legge, l’ex marito di Mildred, lo stesso agente Dixon. Tutti membri dello stesso formicaio quasi disabitato che, a livelli diversi, contribuiscono più o meno consapevolmente all’entropia di cui sopra, almeno fino all’intervento traumatico e in parte terapeutico dei manifesti di Mildred.

Le cause scatenanti dell’intera vicenda per quanto immanenti e totalizzanti sono come da ogni buona scuola noir il pretesto per raccontare altro, l’innesco tra il casuale e il volontario di eventi che, a gradi diversi, travolgeranno tutto e tutti. E’ il deflagrare degli eventi e le conseguenze dei suoi frammenti su ogni soggettività in campo il vero motore della vicenda. Alla fine risolverà conflitti, altre volte gli cambierà solo vestito, altre ancora ne creerà di nuovi. Martin McDonagh (7 Psicopatici), qui regista e sceneggiatore, fa un lavoro  semplicemente eccezionale. Una scrittura sorprendente, equilibratissima nel suo pericoloso, continuo giocare su registri diversi e antitetici. Ci si sente spesso in colpa nel sorridere alle spietate e frequenti stilettate di Mildred, alla fallimentare tensione alla condivisione di James (Peter Dinklage), al dolore di ognuno che ognuno racconta ed affronta come può e come sa.

Una tragedia personale nella tragedia collettiva

Non succede quasi mai quello che ci si aspetti. Fuori dai canoni narrativi più facili e convenzionali, McDonagh affronta la vicenda con uno spietato senso del reale mai giudicante. Con un occhio che non risparmia nulla ma lo fa con una sensibilità e un rispetto tangibili, con quella camera che spesso parte dal basso e si avvicina con cautela ai protagonisti. Il resto lo fa un cast stellare. Alle spalle del trittico di protagonisti McDormand – Harrelson – Rockwell, semplicemente eccezionali, si muove un cast di secondo piano tutt’altro che improvvisato.

Ognuno è al posto giusto, piccoli pezzi di puzzle che compongono una realtà di livore, impotenza, totale incapacità di rapportarsi a un mondo che non è quello che gli è stato promesso né quello di cui avrebbero davvero bisogno. Pellicola meravigliosa, “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” è stata premiata agli Academy Awards del 2018 con quattro premio Oscar: migliore attrice protagonista a Frances McDormand, migliori co-protagonisti a Woody Harrelson e Sam Rockwell e miglior film dell’anno.

Andrea Avvenengo

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