Università, burnout e crisi della performance

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Di Giorgia Bonamoneta

L’università è lo specchio della società, con disuguaglianze di ingresso evidenti, alte come l’Everest e che moltз affrontano senza scarponi, maglia termica o anche solo la razione di cibo. Altrз vengono accompagnatз alla cima con mezzi più o meno efficienti e infine ci sono quelli che con un paracadute discendono sulla vetta. La scala del successo personale è tanto più ripida, difficoltosa e faticosa, quanto più viene descritta come una competizione o una questione di “voglia di sacrificio”.

Quello che rimane lungo il percorso è una serie di crisi, alcune violente e uno stato di perenne fatica fisica e mentale. C’è una sola parola per descrivere il fenomeno più comune che accomuna lз universitarз: burnout. A tale crisi umana corrisponde un ampio risveglio che critica la performance universitaria e l’esaltazione dell’eccellenza privilegiata. Il caso Rossignoli è esemplare e descrive tanto la critica del mondo universitario, quanto la narrazione tossica dei media sullo studio.

Università e merito: il voto come performance

La vita è fatta di numeri. Fin dall’infanzia si viene valutati in base a delle prestazioni standard (da 1 a 10) e non al percorso personale. La competizione è introdotta prestissimo e nel percorso scolastico la pressione dei numeri non fa che aumentare. All’università tale concetto viene estremizzato: li studente sono numeri (matricole) e ottengono numeri.

La critica ai numeri non vuole essere solo pedagogica, ma anche sociale. Non si fa una colpa al privilegio, ma allo stesso modo non si dovrebbe fare una colpa a chi si divide tra studio e lavoro, chi ha difficoltà o esigenze fisiche e mentali differenti e in generale a chi subisce diversi gradi di disuguaglianze d’ingresso.

I numeri standardizzati vengono però preferiti come strumento di validazione del singolo. Quando unə studente non arriva a rappresentare lo standard minimo richiesto si va incontro a sanzioni. La legge italiana stabilisce che per ogni anno fuori corso lə studente deve pagare una maggiorazione della propria iscrizione allo studio. Questa va dai 100 ai 200-250 euro all’anno, una quota dal 10% al 50% delle tasse universitarie. Lə studente fuori corso però è raramente lə studente che preferisce la vacanza allo studio. Molto più di frequente capita che fuori corso sia unə studente costretto a lavorare per pagarsi gli studi; unə studente disabile che non è messo nelle condizioni di frequentare a distanza le lezioni; unə studente trans che, senza l’accesso alla carriera alias, non riesce a partecipare alla vita universitaria perché subisce misgendering.

La tassa per lз studenti fuori corso è una sanzione al fallimento individuale. È la prova, per chi si trova già in difficoltà, che quello che sta facendo in qualche modo non lз appartiene. Per unə studente fuori corso un costo extra potrebbe significare dover abbandonare gli studi. Invece per chi è supportato economicamente dai propri genitori, la multa potrebbe rappresentare senso di colpa e pressione famigliare.

I tassi di abbandono dell’università sono più alti dove si investe meno nello studio: i dati europei

Il rapporto di Unimpresa “I giovani e l’istruzione: la spesa pubblica in Italia e i divari da colmare” mostra un interessante quanto intuitivo collegamento tra il minor investimento nell’istruzione e un maggiore tasso di abbandono. In Italia il tasso di abbandono scolastico e universitario varia geograficamente, con un importante scarto tra Sud (16,7%) e Nord-Est (9,6%). Nello specifico la media dell’abbandono universitario nel primo anno di studi equivale a 1 studente su 10

Secondo il rapporto di Unimpresa il motivo si può ricercare nel fatto che l’Italia non investe più nellз giovani. L’Italia è tra i paesi con il più basso investimento nell’istruzione d’Europa in proporzione alla ricchezza posseduta. Se nel 2000 si spendeva il 10% della spesa pubblica per il sistema educativo, nel 2019 la cifra è scesa a poco più dell’8% (8.153 euro a studente).

Il PNRR, punto di partenza per l’incremento degli investimenti nel sistema educativo, soffre delle allocazioni interne alle singole voci dell’investimento. Molto spazio è infatti dedicato alla sicurezza dell’edilizia scolastica – fattore comunque non trascurabile – ma la sfida più grande è stata nuovamente rimandata. Come e quando l’Italia metterà al centro lə studente? La porta d’ingresso è e rimarrà troppo stretta per moltз ancora a lungo.

Università e burnout - photo credits: web
Università e burnout – photo credits: web

Burnout e università: come si presenta la depressione 

Le pressioni interne ed esterne e le mancanze istituzionali descritte fin qui rappresentano un forte motivo di stress. L’università è sacrificio, viene detto alle matricole, ovvero sacrificio di tempo e denaro. In molti casi manca l’avvertenza di sacrificio fisico e mentale.

L’ultimo rapporto dell’Unicef (2019) confermava che il 16% (quasi un milione) dellз ragazzз fra i 10 e i 19 anni soffriva di problemi legati alla salute mentale. Un dato che in seguito alla pandemia non può che essere cresciuto. Non solo lз studenti italianз sono tra lз più depressз d’Europa, sono anche lз più stressatз. Con burnout si intende una sindrome legata allo stress del lavoro o dello studio che porta il soggetto all’esaurimento delle risorse psico-fisiche. Burnout dall’inglese infatti significa letteralmente “bruciato”, “esaurito” e “scoppiato”. 

Tra i fattori di rischio l’Istituto superiore di sanità distingue quelli interni e quelli esterni. I primi, quali impegno esagerato, perfezionismo, difficoltà di dire “no” ed elevate pretese su se stessi, sono spesso conseguenze dei fattori esterni come il sovraccarico di lavoro o di studio, l’ingiustizia e il mancato riconoscimento del merito.

Non è un caso se i dati Istat sui suicidi in Italia rappresentano un vero dramma sociale. Infatti su circa 4.000 suicidi che si verificano ogni anno, 500 vengono compiuti da under 35. Lз studenti universitari rappresentano il 12% di questa cifra. È evidente il disagio generato dalla narrazione della performance universitaria e del sacrificio per il raggiungimento della vetta a ogni costo.

Il caso Rossignoli e la crisi della performance

Il caso Carlotta Rossignoli e le aspre critiche ricevute sono un esempio di come la performance universitaria sia in crisi. La notizia della laurea in anticipo di Rossignoli, studente in una condizione di privilegio, è stata data senza tenere conto del disagio accumulato da studenti meno privilegiatз.

Alle prime critiche di chi non credeva nell’esaltazione dell’eccellenza (dovuta a evidenti privilegi d’ingresso) la stampa ha risposto citando “giovani invidiosi” e hanno immolato Rossignoli come esempio da seguire. L’eccellenza del privilegio, per sua stessa definizione, non può essere un esempio perché è irraggiungibile. La strada per avvicinarsi è costellata di ostacoli di tempo e soldi. Sono le disuguaglianze d’ingresso quelle che non permettono di parlare in maniera neutrale di merito nelle scuole e nelle università.

Rossignoli non ha colpe e gli insulti alla persona non sono giustificabili, ma si può muovere una critica alla narrazione del sacrificio che giornali e politici applicano alle persone meno privilegiate. Le critiche a Rossignoli sono un chiaro segnale che la performance universitaria è in crisi. Sempre più spesso si rivendica un modello diverso da quello dello stakanovista e della privazione del sonno e della salute per raggiungere l’eccellenza. Si praticano sempre più spesso forme di ribellione e protesta, come il quiet quitting o la rivendicazione della didattica a distanza

Non si dovrebbe scrivere dell’eccellenza del privilegio senza considerare l’impatto psicologico che questo ha su chi la fortuna del privilegio non ce l’ha. I suicidi di giovani universitarз sono omicidi di stampa e di Stato. Solo intervenendo per permettere a tutti di proseguire alla stessa velocità e di riconoscere i segnali di disagio più o meno gravi si potrà ottenere il perdono per quanti hanno abbandonato lo studio e la vita per colpa del sistema universitario e sociale.

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.