Dagli Usa arriva in Europa la nuova frontiera del cibo. Snack con scarti di lavorazione della birra, tè e barrette con foglie e noccioli di avocado, patatine aromatizzate con un pesce infestante. Nasce Oltreoceano una nuova categoria alimentare, che dà valore agli scarti creando prodotti “riciclati” e innovativi. Upcycled Food è il nome dato a questo modo di realizzare alimenti in maniera ecosostenibile e contro gli sprechi alimentari.

La nascita dell’Upcycled Food negli Usa

Il concetto di Upcycled Food nasce negli Usa e già sta vedendo un impressionante sviluppo, tanto che nel 2019 è già nata un’associazione che si dedica interamente al settore. La Upcycled Food Association, con sede a Denver, ha annunciato l’adozione di uno standard internazionale per la certificazione dei prodotti e degli ingredienti upcycled. Un importante passo in avanti per lo sviluppo di un settore che negli Stati Uniti conta già 400 prodotti sul mercato, per un’industria da oltre 46 miliardi e previsioni di crescita del 5 per cento l’anno. La nuova certificazione permetterà ai consumatori di identificare i prodotti alimentari che, utilizzando ingredienti di scarto, contribuiscono a prevenire lo spreco alimentare. Lo standard delinea tre distinte designazioni: una per gli ingredienti upcycled, una per i prodotti contenenti ingredienti upcycled e una per prodotti che ne contengono solo una percentuale.

L’Upcycled Food Association ha convocato una task force che ha visto coinvolti rappresentanti della Harvard Law School, della Drexel University, del Natural Resources Defence Council, del WWF e del ReFED, per definire tecnicamente il cosiddetto “upcycled food” (alimenti riciclati in modo creativo). E per classificare quella che l’organizzazione e i suoi membri considerano a tutti gli effetti una nuova categoria alimentare.

Esempi di Upcycled Food

Gli esempi di Upcycled Food sono già tantissimi. La Acari Fish, per esempio, confeziona croccanti patatine a base di pesci alieni, sottratti da ecosistemi a rischio. La Pulp Pantry utilizza polpa residua di succo di verdure, evitando dallo scorso novembre – assicura l’azienda –  lo spreco di oltre 13 mila kg di alimenti. La Repurposed Pod ottiene succo di cacao dai residui della lavorazione del cioccolato, sostenendo gli agricoltori delle comunità equadoregne. La startup Bad Apple Produce vende a metà prezzo frutta e verdura escluse dalla Grande Distribuzione, recapitandola a domicilio in comode cassette. L’azienda Sir Kensington prepara maionese vegana con i reflui della cottura dei ceci, altrimenti smaltiti dai produttori di hummus.

L’Upcycled Food in Italia

Anche in Italia sono stati effettuati tentativi di riciclo di alimenti, che hanno avuto ottimi esiti. Ad esempio, la Fosan, Fondazione per lo studio degli alimenti e della nutrizione, collabora con diverse micro-aziende del Lazio nella valorizzazione delle eccedenze. Un esempio lavorato nel Lazio è l’aglio nero. L’ aglio nero si ricava con un processo di trasformazione termica che ne allunga la shelf-life (il periodo di vita del prodotto dalla produzione alla vendita, in cui va preservata la qualità complessiva del prodotto). Ne potenzia le proprietà e lo converte in un prodotto da assaporare come una caramella, priva dell’aroma e del sapore forte. Così spiega Cristiana Cireddu, ricercatrice di Fosan.

Poi ci sono le farine prodotte con la buccia di frutta edibile, scartata dall’industria per motivi di processo. Sono farine ricche di vitamine e sali minerali, che possono costituire un ingrediente principale per prodotti da forno, come biscotti e barrette. La Rete produttori Agricoli della Sabina, invece, disidrata la frutta scartata con essiccatori solari (sviluppati dal Crea –IT, Centro di ingegneria e trasformazioni agroalimentari), per farne snack da vendere ai mercati o preparati destinati alle gelaterie del territorio. E poi c’è la Startup D’Adone, che ha creato un dado vegetale, recuperando parti di verdure escluse dai processi industriali.

Questa nuova frontiera sta dando risultati soddisfacenti: indubbiamente, fra qualche anno, i risultati numerici e concreti a livello ambientale potranno confermare questi primi tentativi di ecosostenibilità alimentare e spronare a continuare su questa strada anti-spreco.

Francesca Orazi

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