“Valley of the Gods”: la recensione del film di Lech Majewski dal 3 giugno al cinema

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Di Chiara Cozzi

Un film che è una poesia per gli occhi e un tributo all’Arte con la A maiuscola Valley of the Gods, la nuova opera del regista polacco Lech Majewski con protagonisti John Malkovich e Josh Hartnett.

Realizzato nel 2019, il film vede la luce soltanto ora a causa della pandemia da Covid-19 che ha afflitto tutto il mondo, con particolari asperità sul settore cinematografico. Tra le varie uscite in streaming che per un anno e mezzo sono andate avanti, Lech Majewski ha ritenuto invece necessario che, per ripartire, il suo film debba necessariamente essere proiettato sul grande schermo. E non ha tutti i torti.

Valley of the Gods, analisi e recensione

John Ecas (Josh Hartnett) è uno scrittore in crisi che, per ritrovare se stesso, si sottopone a prove durissime nel deserto americano; Wes Tauros (John Malkovich) è l’uomo più ricco del mondo, impegnato nell’acquisto di una terra Navajo. Il loro incontro avrà inaspettate conseguenze.

Una cosa che salta immediatamente all’occhio dello spettatore (dopo la bellezza estetica della pellicola) sono i forti contrasti disseminati lungo tutta la durata del film. Lusso estremo e povertà, iper-tecnologia e primitivismo rituale, sogno e realtà: tutti opposti che stanno a indicare la matrice della storia, e cioè il conflitto.

Conflitto tra il ricco uomo bianco, detentore del potere e rappresentante degli antichi pionieri, e i nativi americani: non c’è dubbio che Valley of the Gods muova una critica ben esplicita al colonialismo e al capitalismo. Ma anche un conflitto interiore, che spinge Ecas a mettersi sulle tracce di Wes Tauros, ricchissimo magnate d’ispirazione wellesiana.
Scopo del regista è proprio quello di voler evidenziare la spiritualità, ecco perché la roccia occupa nel film un ruolo tanto importante: non c’è niente di più primitivo e terreno, e tuttavia soggetto al divenire e alla rinascita, proprio come tutto ciò che ci circonda Tauros e il suo terribile segreto, nascosto proprio sotto terra.

Tributando in maniera reverenziale e devota il cinema, Lech Majewski si cala nei sotterranei del palazzo di Wes Tauros come solo la migliore tradizione horror sa fare: mostrando ciò che nascondono le gallerie, il regista sta fronteggiando proprio i film horror e il topos di quell’inconscio talmente disturbante che deve essere rimosso, nascosto, celato agli occhi degli altri.

Valley of the Gods risulta essere un’esperienza visiva ed emozionale, un doveroso tributo all’arte e alla sua rinascita.

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Immagine di copertina: taxidrivers.it

CHIARA COZZI