Velázquez, uno dei più importanti pittori europei di sempre, è tra i massimi esponenti del Barocco. Le sue opere sono state fonte di ispirazione per importanti artisti che lo hanno seguito nel corso dei secoli, da Goya a Picasso. Oggi cade l’anniversario della sua morte e noi gli dedichiamo un focus concentrandoci su un’opera forse poco conosciuta ma un unicum magistrale nella straordinaria produzione artistica di questo grande maestro dell’arte.
Velázquez, naturalista convinto, uno degli artisti più rappresentativi dell’epoca barocca e un grande ritrattista, è conosciuto soprattutto per il celebre quadro de “Las Meninas”. Molto ampia è però la sua produzione artistica, composta soprattutto da ritratti di corte, meno vedute di paesaggio e svariate rappresentazioni di immagini sacre e religiose.
Vita e Formazione artistica
Velázquez, nome completo Diego Rodríguez de Silva y Velázquez, nasce a Siviglia nel 1599. Figlio di una famiglia benestante dell’Andalusia, fin da ragazzino muove i propri passi nel mondo dell’arte, prima nello studio di Francisco Herrera il Vecchio e poi, a partire dai dodici anni, nella bottega di Francisco Pacheco. Questo gli permise di ottenere nel 1617 la licenza per lavorare come maestro pittore in città. Il rapporto tra maestro e discepolo si stringe ulteriormente nel 1618, quando Velázquez sposa Juana, figlia di Pacheco.
Dopo essersi fatto un nome a Siviglia, nel 1622, il pittore decide di trasferirsi a Madrid in cerca di nuovi incarichi. Alla Corte di Re Filippo IV di Spagna, Velázquez fa la sua fortuna. Il sovrano è così soddisfatto del risultato del primo lavoro commissionato che lo nomina pittore di corte e ritrattista “ufficiale” del re. Nel 1659 Velázquez è insignito della Croce Rossa dell’Ordine di Santiago, una delle più alte onorificenze concesse ad un artista spagnolo. Il 6 agosto muore dopo alcune settimane in cui combatteva, colto da febbre.
Velázquez e il realismo barocco nei suoi dipinti
Nella prime fasi della sua attività, Velázquez dipinge scene di genere, rappresentando personaggi popolari tratti dalla realtà quotidiana. L’artista rivela già in queste opere la sua grande abilità di ritrattista, capace di rendere le caratteristiche caratteriali e psicologiche del soggetto dipinto. Sono proprio i ritratti, infatti, a fare la fortuna del pittore. In tutte le sue opere dominano la prospettiva aerea, l’atmosfera, la luce, il giusto valore di tutti i toni, e per mezzo del colore riesce a fissare i termini e le distanze con la stessa precisione con cui potrebbero farlo le inflessibili regole della prospettiva. Naturalista per eccellenza, dipinge ciò che vede e sa quel che dipinge e come deve dipingerlo.
La Venere Rokeby
Frutto del suo soggiorno in Italia è Venere allo specchio (1650-1651). Questo dipinto, unico esempio superstite di nudo femminile di Velazquez. In quest’opera è chiara l’influenza dell’arte di Tiziano e della sua Venere di Urbino. La Venere Rokeby raffigura la dea della bellezza, dell’amore, della fecondità e della natura primaverile adagiata languidamente su un letto tra lenzuola di raso, con la schiena rivolta verso l’osservatore e le ginocchia piegate. Prese il soprannome di Venere Rokeby dalla collezione privata di John Morritt alla quale apparteneva.
Venere sta fissando uno specchio retto da Cupido, collocato di fronte a lei. In questo modo, la dea rivolge il proprio sguardo all’osservatore del dipinto mediante la sua immagine riflessa nello specchio. La posizione dello specchio, però, non è coerente con lo scorcio e in realtà per vedere il volto della dea in quella posizione essa si dovrebbe trovare al posto dell’osservatore: si tratta di una licenza artistica.
La Venere Rokeby è l’unico esempio superstite di un nudo femminile di Velázquez, che ne avrebbe realizzati altri tre, come attestato dagli inventari spagnoli del Seicento. La dea non presenta gli attributi iconografici che solitamente accompagnano le sue raffigurazioni. Nel dipinto di Diego Velázquez la dea ha i capelli molto scuri ma è presente Cupido che ne chiarisce l’identità. Venere, la dea dell’amore, è la più bella delle divinità, ed è da sempre considerata come la personificazione per eccellenza del fascino femminile.
La donna dà la schiena allo spettatore ed è adagiata su un letto le cui morbide lenzuola ne enfatizzano le curve generose. Le prime notizie certe sulla Venere Rokeby sono del giugno 1651 quando la presenza della tela è documentata nella collezione del figlio del primo ministro. È ragionevole pensare che l’opera fosse mostrata solo privatamente, evitando così la censura della terribile inquisizione spagnola.
Il 10 marzo 1914 il dipinto venne danneggiato con un coltello dalla suffragetta Mary Richardson. La donna giustificò il suo gesto come segno di protesta nei confronti del governo. Per fortuna un attento restauro riuscì a riportare il dipinto al suo splendore originario
Ilaria Festa
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