“Non sa disegnare, bocciamolo”
Con queste poche parole Vincent Van Gogh venne respinto all’unanimità dall’Accademia di Belle Arti di Anversa. Era il 31 Marzo del 1886. Van Gogh aveva 33 anni ed i professori dell’accademia lo respinsero dopo un anno di frequenza perché consideravano le sue opere “robaccia”. L’artista continuò a dipingere tra l’incomprensione e l’indifferenza, conducendo una vita di miseria materiale ed emotiva. Genio assoluto dell’arte, ebbe il suo riconoscimento solo post mortem.
Tra un’opera e l’altra fu capace di tagliarsi un orecchio per regalarlo ad una prostituta, di inghiottire i colori che utilizzava per dipingere, di sentire voci inesistenti, di spararsi alla pancia mentre cercava l’ispirazione per un nuovo soggetto da dipingere e aspettare la morte seduto sul letto fumando la pipa dopo essersi sparato un colpo di rivoltella all’altezza del cuore.
Vincent Van Gogh, la sofferenza di nascere con un peso sulla coscienza
Vincent Van Gogh, nasce il 30 Marzo 1853, in un piccolo villaggio Olandese. Il padre era un pastore protestante e fin dall’infanzia, l’artista, vive con il peso del senso di colpa. Un anno prima della sua nascita la famiglia aveva perso un bambino che era stato battezzato con il suo stesso nome. Questo avvenimento segna un po’ tutta l’esistenza dell’artista. Van Gogh è un ragazzo solitario che passa le sue giornate passeggiando nei campi.
A sedici anni, costretto dalle ristrettezze economiche, deve cercarsi un lavoro. Grazie all’aiuto dello zio, diventa commesso nella galleria d’arte all’Aia. Affascinato dalle pitture di Rembrandt e dai pittori che facevano parte della scuola dell’Aia, Van Gogh è sempre più vicino al mondo dell’arte. Nel 1873 viene mandato a lavorare nella succursale di Londra. Qui rimane affascinato dalla città ma alcune vicende personali ed amorose iniziano a far crescere in lui inquietudine.
Viene mandato a Parigi ma nel 1876 viene licenziato. Inizia così a manifestare il desiderio di seguire le orme del padre. Ma nel 1880 parte per Bruxelles. Ha deciso: vuole diventare pittore. Nel 1886 si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Anversa. Non poche le donne, soprattutto prostitute, a cui il pittore si lega ma che in qualche modo contribuiscono ad aumentare la sua inquietudine. Le sente vicine e simili nella sua profonda sofferenza.
Alti e bassi di una vita di solitudine
Van Gogh si sente vicino agli ultimi. E così diventa pittore di contadini. Solidarizza con la povera gente, per affinità con la sua vita. A Parigi la situazione cambia. Si trasferisce lì per due anni, avvicinandosi all’amato fratello Theo. Qui dipinge quello che vede dalla finestra.
“Più colore nei quadri, più entusiasmo nella vita”
A presentare ai pittori impressionisti Van Gogh fu proprio il fratello Theo. Stanco della vita sregolata di Parigi, però, il pittore decide di trasferirsi nel calmo e piccolo paesino di Arles dove fonda il suo “Atelier du Midi”. Le sue opere si colorano di giallo. Le tele si infiammano di luce.
“Cerco un posticino in cui ritirarmi e riavermi e riguadagnare la calma e la fiducia in me stesso, senza che uno finisce inevitabilmente istupidito. Io che ho vissuto tanti anni senza alcuna voglia di sorridere, ho bisogno soprattutto di scoppiare a ridere”
Nel 1888 Van Gogh, sempre più afflitto da mali inspiegabili, viene definitivamente preso in cura. Paranoie ed eccessi di depressione, complesso di senso di colpa, bisogno di amore che il pittore ha sentito per tutta la vita? Non si è mai saputo. Viene però recluso in un ospedale psichiatrico. Tra i suoi amici e colleghi c’è anche Gauguin. Due caratteri molto diversi e visioni completamente opposte dell’amicizia. Litigano, Van Gogh lo aggredisce con un rasoio e poi la mattina dopo si autopunisce tagliandosi un orecchio che manda in dono ad una delle sue prostitute.
La malattia prende il sopravvento
Dall’ospedale di San Rémy, in cui fu trasferito da Arles nel 1889, Van Gogh aveva una stanza tutta per sé e gli fu concesso persino di avere una stanzetta che lui adibì ad atelier. Dalla sua stanza, dalla finestra sbarrata, vedeva il campo di grano. Inizia a dipingere fiori.
“Vedo la natura che mi ha detto qualcosa. Mi ha rivolto la parola”
E dei cipressi dice:
“Hanno le linee e proporzioni belle come quelle degli obelischi egiziani”
Durante questo periodo ha diverse ricadute. Seguono periodi di crisi e di allucinazioni religiose. Proiezioni fantastiche che trovano l’espressione massima in “notte stellata”. Sembra però riprendersi.
L’ultimo viaggio lo fa ad Auvers-sur-Oise per farsi curare nuovamente. Attende il fratello Theo che però non può raggiungerlo. Decide allora di andare lui a Parigi. Van Gogh però si sente abbandonato e il suo male riprende il sopravvento. Il 27 Luglio va nei campi con una rivoltella, per uccidere i corvi. Ma si spara, dritto al cuore. La pallottola devia e lui non muore sul colpo. Torna in camera ferito, si siede e fumando una pipa aspetta la morte. Muore all’una e mezza. Il 25 Gennaio dell’anno dopo, muore anche il suo amatissimo fratello.
Van Gogh, il primo “artista maledetto”
Questo è stato Van Gogh. Un uomo in bilico tra il perenne bisogno di affetto, l’autodistruzione e una coscienza fiera del proprio valore di artista. Esempio primo e forse più celebre dell’artista “maledetto”. Ma Van Gogh è molto altro. Nonostante sia passato da un fallimento all’altro, da una delusione all’altra, ha fatto tanti mestieri ma è stato una sola cosa nella sua vita: pittore. La sua è un’arte nuova che non segue nessuno stile se non il proprio. La natura e i paesaggi sono deformati, schizzati e qualsiasi soggetto viene rielaborato e stravolto dallo stato d’animo del pittore. Diventa così un’immagine interiore. Nella pittura Van Gogh vede la sua valvola di sfogo ed il suo modo per esprimere il suo essere così incompreso e solitario. Non è forse bastato a placare le sue ansie, ma l’eredità che lascia, anche se lui non lo sa, è una porta aperta verso la pittura moderna.
Ilaria Festa
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