Webdoc: Netflix “Seaspiracy”, il lato oscuro della pesca

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Di Redazione Metropolitan

L’oceano, culla e polmone della vita sulla Terra, è l’habitat più vasto e prezioso del nostro ecosistema. Il luogo in cui tutto è cominciato e da cui dipende l’equilibrio di tutte le specie, uomo incluso. Noi, invece, lo stiamo condannando a morte, inquinandolo e depredandolo senza misura. A tracciare questo drammatico quadro, dopo Cowspiracy arriva su Netflix, Seaspiracy, il documentario che esplora, con un’inchiesta giornalistica, il lato oscuro dell’industria della pesca e di tutte le condotte suicide che stanno devastando gli oceani.

Esiste la pesca sostenibile?

Entro il 2050, i nostri oceani potrebbero restare vuoti. I pesci che attualmente li popolano potrebbero scomparire. Attenzione però: questo è solo uno dei tanti alert che ci comunica Seaspiracy. Esiste la pesca sostenibile? Il documentario si presenta con questa domanda, lasciando intendere una risposta negativa e preannunciando una trasformazione radicale del nostro modo di pensare e agire sulla conservazione degli oceani. Ecco, in 3 punti, le scomode verità del mercato ittico in Asia, Europa e nel resto del mondo, messe alla luce dal regista documentarista Ali Tabrizi, altamente ispirato da Jacques Cousteau e David Attenborough:

1) Reti e inquinamento da plastica

Reti e inquinamento da plastica negli oceani, frame tratta dal docufilm di Ali Tabrizi - Photo credits: Netflix
Reti e inquinamento da plastica negli oceani, frame tratta dal docufilm di Ali Tabrizi – Photo credits: Netflix

Ormai siamo tutti consapevoli dell’impatto ambientale che la plastica monouso ha sui nostri oceani. le reti e le attrezzature da pesca rappresentano una quantità importante dei rifiuti di plastica che si trovano dispersi negli oceani e formano il 46% del Great Pacific Garbage Patch (una superficie enorme creatasi a causa della convergenza dei rifiuti) a nord dell’Oceano Pacifico. Inoltre queste costituiscono un pericolo immane per la fauna marina che rimane spesso intrappolata.

2) Gamberetti insanguinati pescati da manodopera ai limiti della schiavitù

Frame tratta dal documentario di denuncia - Photo credits: Netflix
Frame tratta dal documentario di denuncia – Photo credits: Netflix

Potreste essere a conoscenza dei diamanti insanguinati ma ora il giornalista ambientalista George Monbiot afferma che i “gamberetti insanguinati” stanno diventando un enorme problema, con tanto di servizi raccapriccianti su pescatori schiavi impiegati in Tailandia nella pesca del gamberetto. Un ex pescatore intervistato nel documentario ha raccontato di essere stato picchiato e minacciato con una pistola alla testa e ha persino dichiarato che i corpi morti di chi era stato ucciso venivano tenuti nei congelatori a bordo dei pescherecci.

3) Certificazioni sul pesce sostenibile

"Dolphin Safe" e "Marine Stewardship Council", Taiji, Giappone - Photo credits: Netflix
“Dolphin Safe” e “Marine Stewardship Council”, Taiji, Giappone – Photo credits: Netflix

Sebbene mangiare pesce sostenibile possa sembrare la scelta giusta, il regista mostra come i marchi Dolphin Safe (in riferimento al tonno, “pescato senza rischio per i delfini”) e Marine Stewardship Council (che contraddistingue pesce di mare proveniente da una pesca sostenibile) potrebbero, in realtà, non essere in grado di garantire al consumatore le certezze che vorrebbe. Nel film, alla domanda se fosse in grado di affermare con certezza che ogni scatoletta di pesce con il marchio ‘dolphin safe’ era realmente “senza rischio per i delfini“, Mark J Palmer dell’Earth Island Institute, organizzazione responsabile della dicitura dolphin safe, ha risposto:

Nessuno può garantirlo. Una volta che i pescherecci sono in mare come fai a sapere cosa accade a bordo? Abbiamo i nostri osservatori ma anche un osservatore può essere corrotto.

Seaspiracy: coraggiosa denuncia per oceani a rischio

Sei consapevole del mondo che ti circonda e dell’impatto che hai su di esso? Il primo fatto che ci fa aprire gli occhi in Seaspiracy è la caccia ai delfini che si svolge a Taiji in Giappone. Ali fa scoperte scioccanti: squali, delfini e balene vengono uccisi perché si nutrono dei pesci che vengono venduti nei mercati. La gente pensa che gli squali uccidano gli umani. Ma Ali ci mostra che ogni anno gli squali uccidono circa 10 persone. D’altra parte, gli umani uccidono da 11.000 a 30.000 squali ogni ora.

"Seaspiracy", il regista documentarista Ali Tabrizi con in mano una pinna di squalo in un mercato del pesce a Taiji, Giappone - Photo credits: Netflix
“Seaspiracy”, il regista documentarista Ali Tabrizi con in mano una pinna di squalo in un mercato del pesce a Taiji, Giappone – Photo credits: Netflix

Seaspiracy, con la sua denuncia chiara e coraggiosa, ha ricevuto elogi da celebrità e animalisti di tutto il mondo tra cui Leonardo DiCaprio. Per saperne di più è stato creato un sito web: seaspiracy.org dove puoi trovare informazioni sulla causa e le azioni concrete per proteggere meglio gli oceani. Lo scopo principale è fermare, o quantomeno ridurre, il consumo di pesce. Quello che è chiaro da tempo, è che da questa guerra che l’uomo ha dichiarato agli oceani, nessuno potrà uscire vincitore e che per ristabilire un equilibrio duraturo serve una decisa e rapida presa di posizione da parte di tutti.

Webdoc: storie, fatti, idee” ti aspetta venerdì prossimo 16 Aprile alle 18:00 con una nuova opera di denuncia, tratta dalla sfida creativa affrontata da registi del cinema civile, sia di finzione che documentaria, ispirata a una realtà sociale, politica, culturale o religiosa.

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Rubrica a cura di Giuliana Aglio