Eccoci qui con la rubrica di cui vi abbiamo parlato. Volevamo partire dalle basi, parlando di un regista che ha fatto dei suoi set cinematografici delle vere e proprie mete di pellegrinaggio turistiche. Dei luoghi di Fellini potremmo dire tanto, tantissimo: Rimini, Roma, periferia e centro. Eppure, non tutti sanno che la vera officina felliniana non si spostava mai da Cinecittà, dove Fellini ricreava quasi tutto ex-novo. Una curiosità in merito all’iconica via Veneto de La dolce vita, alla quale, dal 1960 in poi, venne aggiunto l’aggettivo ‘felliniana’.

Scena del film di Fellini PhotoCredit: dal web
Scena del film PhotoCredit: dal web

Trama e considerazioni de La dolce vita

Bisogna fare delle premesse: Roma in quegli anni era diventata una meta privilegiata per l’industria cinematografica americana. Questo ebbe come conseguenza il trasferimento di moltissimi attori e produttori americani nella capitale, tanto da avvalersi il soprannome di ‘Hollywood sul Tevere’. Un terreno fertile nel quale far crescere materiale succoso da dare in pasto a riviste scandalistiche, e Fellini ne fu un sapiente e colto osservatore.

Volendo analizzare la trama della pellicola ci troviamo di fronte ad una serie di difficoltà, innanzitutto l’andamento del film si sottrae a un qualsivoglia ordinamento o suddivisione narrativa. La sensazione è quella di una processione di personaggi con i quali Marcello viene a contatto, e che si svelano allo spettatore in sequenze quasi epifaniche.

Il sentimento dell’intero film è quello di una ‘decadenza morale’ e una incapacità nel trovare uno scopo o un senso della vita. Sentimenti, questi, che caratterizzano Marcello e il suo disperato errare attraverso ambienti della capitale oscuri e grotteschi. Alla critica moralistica possiamo inserire un valore aggiunto del motus animi di Marcello: esistenzialista. Marcello è completamente immerso in una realtà sfrenatamente edonista, nella quale si aggira e si lascia trasportare con un’aria disincantata e annoiata.

I luoghi geografici di Fellini e l’affollata via Veneto

Ne La dolce vita la scissione identitaria, che contamina anche tutta la società e nella quale il protagonista è immerso, è generata dallo spectrum dell’eccitazione dell’euforia moderna. Euforia che si esplicita nell’esibizione di costumi costosi, stile di vita al limite del pomposo, un accumulo di oggetti, di relazioni umane insignificanti e di cornice. Accumulo che Fellini ha espresso regalandoci la fumosa, chiassosa e affollata via Veneto felliniana.

Non tutti sanno che in realtà la via Veneto che vediamo nel film non è la vera via Veneto di Roma. Il set , infatti, fu interamente ricostruito negli studios di Cinecittà da Piero Gherardi. La via che vediamo nel film ha un errore, volutamente richiesto dal regista. La via Veneto felliniana (quella ricostruita a Cinecittà) è dritta, in modo tale da dare la sensazione allo spettatore di essere infinita, differentemente da quella reale che ha una naturale curvatura a sinistra.

All’accumulo compulsivo di oggetti, giornalisti e divi di Hollywood che affollano la strada di via Veneto, vi è, dall’altro lato, la volontà in Fellini di far maturare nello spettatore il sentimento dell’ horror vacui. Il regista riminese mette in scena sequenze e immagini affollate di oggetti, rendendo l’atmosfera del film molto soffocante. E ci riesce benissimo.

Fellini
Via Veneto costruita da Piero Gherardi PhotoCredit: dal web

L’aura opaca della luce del progresso moderno de La dolce vita si proietta con degli scenari che non sono solo diventati icone di uno stile di vita, per così dire, ‘felliniano’, ma sono entrati a pieno diritto nell’immaginario italiano e mondiale contribuendo a rendere la figura di Roma il simulacro opalescente di mondanità e perfetta cornice dei divi che gravitano nell’universo della Hollywood sul Tevere.

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