Eudaimonia, per la rubrica Parole dal Mondo: un termine greco che indica una vera e propria dottrina morale, ovvero, la felicità come scopo di vita.
Felicità come ricerca e fondamento etico della vita
Concettualmente, il termine Eudaimonia indica una dottrina morale che ripone il bene massimo nella felicità, perseguendola come fine naturale dell’esistenza umana. Etimologicamente derivante dal greco, la parola si compone da eu – ”buono” o ”bene”- e daimon ”genio, demone”. Il daimon, tuttavia, non possiede un’accezione negativa: semanticamente è associato a un significato da intendersi come spirito guida o coscienza. Questo concetto non va inteso come la felicità comune: il tipo di benessere a cui si riferisce, riflette la ricerca dell’assoluta gioia come obiettivo di vita. Bisogna, in questo senso, fare delle distinzioni: l’ Eudaimonia qui citata si distingue dall’Edonismo che, differentemente dal termine qui trattato, propone come fine dell’esistenza il godimento. L’edonismo, infatti, è più da considerarsi come la brama del conseguimento del piacere immediato, ovvero un intenso godimento, come teorizzava la scuola cirenaica di Aristippo; o, secondo la concezione di Epicuro, la mera assenza di dolore.
Eudaimonia, un concetto cangiante
La filosofia greca, successivamente, ha rimaneggiato il concetto interiorizzandolo e ponendolo sul piano etico. La riflessione filosofica in questione, infatti, lo ha posto nella sfera intima dell’uomo connettendolo direttamente all’aretè, – ἀρετή – ovvero quel termine che in greco antico indicava la virtù per eccellenza. La dottrina che attraversa l’Eudaimonia, investita da questo nuovo significato apposto, ha attraversato la filosofia antica dai presocratici ad Aristotele. La domanda che i pensatori antichi si posero nel corso del tempo fu: che cos’è la felicità? Le teorizzazioni furono innumerevoli. Eraclito, ad esempio, affermò che se la felicità risiedesse nel mero godimento dei piaceri carnali, anche il bestiame sarebbe felice. La vaghezza e la difficoltà di dare una definizione universale, giunse ad attribuire una soggettività al concetto. Il primo ad avvicinarsi alla felicità connessa alla virtù fu Democrito:
“La felicità non consiste nel possesso del bestiame e neppure nell’oro, l’anima è la dimora della nostra sorte”.
Eudaimonia, l’obiettivo finale verso cui si deve tendere
Globalmente, quindi, se il concetto a cui il termine si riferisce risulta oggettivo, le sue interpretazioni restano personali; la vaghezza della definizione, tuttavia, attualmente come nell’antica filosofia greca, è rappresentata per lo più da un’utopia: una chimera, pensare di giungere alla felicità assoluta. Ma la meraviglia di questa parola sta proprio nella sua etimologia che, letteralmente, significa esser posseduti da un buon demone. Il concetto in questione, appare anche nell’ Etica Nicomachea di Aristotele in contrapposizione al piacere edonico; secondo il filosofo, non tutti i desideri meritano attenzione.
Bisogna seguire solo ciò che tende al bene. L’ Eudaimonia è una sorta di ”Iperuranio” a cui ogni uomo tende, secondo la sua natura. La felicità è quindi condurre una vita virtuosa attuando il bene a seconda delle proprie disposizioni morali. Tale contenuto che conduce alla virtù riguarda, esclusivamente, l’interiorità di ciascuno: il daimon o le potenzialità di ognuno. Attuandole si giunge alla realizzazione della propria natura e sono le azioni che si compiono per andare d’accordo con il proprio Io che conducono alla pienezza dell’Eudaimonia.
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