Tempora labuntur un’espressione di Ovidio contenuta, successivamente, nell’opera Fasti e riferita allo scorrere inesorabile dei giorni. Nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, il tema del tempo nella letteratura antica.
La fuggevolezza del tempo e la sua importanza
Il concetto di tempo e il suo fluire – tempora labuntur – la sua analisi e il suo studio, ha sempre affascinato le antiche popolazioni. La misurazione dello scorrere inesorabile dei giorni ha inizio con i Babilonesi; tuttavia, tale concetto, assumerà un’importanza preponderante specialmente nel mondo classico greco e romano.
Mimnermo, antico poeta elegiaco, in Come le foglie rese protagonisti della sua elegia la caducità del tempo e la brevità dell’esistenza, paragonandola ad un’immagine ciclica della natura; la stagione autunnale, il cadere delle foglie, e il dissolversi della gioventù:
Noi simili a quelle per un attimo
abbiamo diletto del fiore dell’età,
ignorando il bene e il male per dono dei Celesti.
Ma le nere dèe ci stanno a fianco,
l’una con il segno della grave vecchiaia
e l’altra della morte. Fulmineo
precipita il frutto di giovinezza. […]
Lo sfuggire della giovinezza e del tempo a disposizione degli uomini, espresso attraverso la precarietà della foglie su di un ramo pronte a staccarsi al primo alitare di vento, sembra essere un’allegoria accostata alla caducità della vita molto frequente nella simbologia letteraria del mondo greco. Nell’Iliade, infatti, prima di affrontare a duello Diomede, Glauco risponde:
”Magnanimo figlio di Tideo (Diomede), perché mi domandi quale sia la mia stirpe? Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; delle foglie il vento getta alcune a terra, mentre altre sono nutrite al tempo di primavera dalla selva in fiore; così le stirpi degli uomini: nasce una, l’altra scompare”.
Il mondo ellenico, infatti, ha sempre riflettuto sulla fuggevolezza della vita: anche Saffo nella lirica Tramontata è la luna, paragona il sorgere del giorno e la sparizione delle Pleiadi e della luna in cielo alla sua giovinezza, tempo di passione e amori, ormai svanita.
Tempora labuntur: lo sfuggire dei giorni in Ovidio, Seneca e Orazio
Dice Ovidio nei Fasti che il tempo corre adagio, silenzioso, facendo invecchiare gli uomini senza alcuna traccia del suo passaggio; i giorni, infatti, si dileguano silenti senza nessun freno che li arresti:
”Tempora labuntur, tacitisque senescimus annis, et fugiunt freno non remorante dies”.
Nessuno può richiamare indietro le ore trascorse, affermava nella sua Ars Amatoria; ma il tempo è anche l’ossessione di Orazio. Ben conscio dell’impossibilità di arrestare il flusso del tempo, l’uomo non può opporsi alla morte, ma può sottrarsi alla fuga del tempo solo nell’ hic et nunc. Solo sul presente, gli uomini, possono esercitare la propria volontà muovendosi nella logica dell’oraziano, per l’appunto, Carpe Diem:
“Mentre parliamo, già sarà fuggito il tempo invidioso : cogli il giorno, fidandoti il meno possibile del domani”.
Secondo Seneca, invece, il tempo a disposizione degli uomini non è affatto breve: la vita è resa tale dallo stesso genere umano, che spreca in futili occupazioni il tempo concesso. Il principio su cui verteva il pensiero di Seneca era l’autarchia: il dominio di sé senza dipendere dagli altri. Primo passo per il dominio di sé è proprio quello di padroneggiare il proprio tempo a disposizione. Il presente è l’unica scansione temporale che l’uomo può dominare.
Stella Grillo
Foto in copertina: Tempora labuntur – Photo Credits: cosediscienza.it