Nell’udienza generale nell’aula Paolo VI, il Papa ha tenuto un discorso sul lavoro, riferendosi direttamente al Governo.
Il Papa chiede ai fedeli un minuto di silenzio per tutti i lavoratori che si sono suicidati durante la pandemia
“In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro, lo sappiamo, e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie”. Lo ha detto Papa Francesco per la prima volta durante l’udienza, trasformata in un’occasione per ricordare con un minuto di silenzio i lavoratori disperati che anche in questa pandemia sono morti per mancanza di lavoro o per mancanza di protezione sui cantieri.
Secondo il Papa, il lavoro è al centro della vita sociale, non tutti i lavori ma quelli rispettosi della dignità umana: il lavoro garantito dalle pubbliche autorità è dignitoso. Lavoro non come occasione di sfruttamento e di ingiustizia ma come base indispensabile che dona dignità. Senza lavoro non può esserci dignità. Allora si rivolge direttamente al Governo: “Quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa, ma guadagnarlo. E se noi non diamo alla nostra gente la capacità di guadagnare il pane questa è ingiustizia sociale. I governanti devono dare a tutti la possibilità di farlo. Il lavoro è un’unzione di dignità”.
Pone poi l’accento sul lavoro in nero e lo sfruttamento minorile
Poi si è soffermato su “Tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche. A coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro e abbiamo visto, qui in Italia, ultimamente sono parecchi. Ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare”. Papa Francesco ha posto l’accento sulla piaga del lavoro nero: “Danno lo stipendio di contrabbando, senza la pensione, senza niente […] oggi c’è il lavoro nero, e tanto”. Sul lavoro minorile: “I bambini, questo è terribile, nell’età del gioco costretti a lavorare come persone adulte“.
Enrica Nardecchia