L’8 Maggio del 1970 esce il dodicesimo ed ultimo album in studio dei Beatles: Let it Be. Il disco è registrato quasi interamente in sessioni precedenti uelle di Abbey Road, nel Gennaio del 1969, ma vedrà la luce solo successivamente, in seguito all’annuncio dello scioglimento della band, avvenuto il 10 di Aprile del 1970.
Le sessioni di registrazione di Let It Be
Nel gennaio del 1969 i Beatles entrano in studio decisi a cambiare il tipo di approccio in fase di registrazione. Il progetto per il nuovo album, inizialmente dal titolo Get Back, venne ideato da Paul McCartney come una sorta di ritorno al passato. Paul voleva che la band riacquistasse lo spirito rock e l’approccio live che li aveva caratterizzati all’inizio della loro carriera. Una sorta di “ritorno alle origini” sia dal punto di vista musicale che umano. L’idea di fondo era quella di fare un album come il primo disco, Please Please Me, registrato in un’unica seduta di dodici ore nel 1962. Così i Beatles si ritrovano in studio senza le strumentazioni elettroniche e le sovra incisioni, ma registrando in presa diretta.
Così, tra il 2 e il 31 gennaio del 1969 presso gli studi Twickenham e Savile Row, i Beatles tornarono indietro nel tempo, tornarono al rock’n’roll degli esordi. Il processo creativo è filmato per l’intero mese ininterrottamente. Grazie a queste registrazioni abbiamo visto il malessere interno al gruppo: George Harrison era a disagio nel vedere che le sue composizioni e il suo apporto non erano presi in considerazione, voleva formare un gruppo tutto suo con Eric Clapton. Paul McCartney riteneva di dover andare avanti e scongiurare la rottura definitiva ergendosi a leader del gruppo. Si vede anche l’abbandono di Harrison in seguito ad una discussione con McCartney. Il chitarrista tornò poi sui suoi passi a condizione che si spostassero negli studi Savile Row. Inoltre chiese il ritiro dalle scene live.
I “fab four” in studio erano in verità in cinque! Dovendo eliminare le sovra incisioni, avevano bisogno di qualcuno che suonasse un altro strumento. Per questo motivo scelsero il tastierista jazz Billy Preston che avevano conosciuto durante la loro permanenza ad Amburgo. Preston non solo fece egregiamente il suo lavoro alle tastiere, ma riuscì a fare da paciere tra i quattro, rimandando l’inevitabile rottura definitiva del gruppo.
La pubblicazione dell’album
Una volta registrate tutte le canzoni, i Beatles, insoddisfatti del risultato, lasciarono il missaggio finale all’ingegnere Glyn Johns. Quest’ultimo presentò un acetato al gruppo che, ormai, non era più interessato al progetto e finì tutto nel dimenticatoio. Qualche tempo dopo le registrazioni sono affidate al grande Phil Spector che decise di applicare i suoi metodi in postproduzione.
Chiaramente l’intervento del produttore americano stravolse gli intenti iniziali della band. McCartney vide pubblicato il disco con alcuni suoi brani stravolti: “The Long and Winding Road” fu completamente modificata da Spector che aggiunse violini e cori celestiali. Il bassista è andato su tutte le furie e ciò lo portò a litigare con gli altri membri della band. Da notare che negli anni, Paul, si è poi ricreduto, infatti ha sempre suonato dal vivo la canzone eseguendo alla perfezione il nuovo arrangiamento di Spector.
L’album è uscito l’8 maggio 1970, quando oramai il gruppo non esisteva più.
Una parte di questi filmati comparvero nel mercato dei bootleg e nel 2000 uscì una sorta di cofanetto di ben 38 CD, dal titolo “Day By Day”, contenenti tutte le registrazioni integrali effettuate durante quelle sessioni.
Il concerto sul tetto
Nel corso delle session di registrazione i Beatles avrebbero dovuto fare un evento live conclusivo. Le ipotesi iniziali erano diverse ed alcune erano veramente bizzarre come l’esibirsi in un teatro romano in Africa o di uno show su una nave nel Mediterraneo. Per fortuna il veto a fare esibizioni live di Harrison e le intolleranze alimentari di Ringo Starr, si trasformarono nella performance leggendaria che tutti oggi conosciamo: il rooftop concert. L’ultima esibizione pubblica dei Beatles dal vivo si tenne il 30 gennaio 1969 sul tetto dell’edificio dei Savile Row Studios.
Sebbene il concerto fosse improvvisato, fin dai primi di gennaio i Beatles avevano pianificato di un’esibizione live durante le registrazioni per quello che ancora era il progetto Get Back. Resta il mistero di chi ebbe l’idea del concerto sul tetto, ma tutto venne deciso pochi giorni prima dell’esibizione. Ringo Starr ricorda: “Volevamo fare un concerto in un posto insolito. Ci stavamo domandando dove saremmo potuti andare, pensammo anche al deserto del Sahara. Ma sarebbe stato complicato, avremmo dovuto portarci dietro tutta la roba. Così dal nulla decidemmo: ‘Saliamo sul tetto!’” Nella sua autobiografia “Sound Man”, Glyn Johns ha scritto che l’idea del tetto era stata sua.
L’audio è registrato da Alan Parson usando due mixer a 8 piste posizionati. Il regista Michael Lindsay-Hogg portò la sua troupe sul tetto per catturare ogni immagine del concerto, comprese le reazioni dei passanti in strada perché nessuno sapeva di questa esibizione.
I Beatles iniziarono a suonare a mezzogiorno. Fin da subito si creò un po’ di confusione in strada e si formarono capannelli di passanti incuriositi che guardavano in alto. Nel frattempo la notizia dell’evento si diffondeva e folle di spettatori cominciarono a radunarsi nelle strade e sui tetti vicini. La rissposta della gente fu incredibile ma la polizia si preoccupò immediatamente per gran il traffico che si stavaa creando nella zona.
Quando la polizia monta sul tetto, i Beatles si renddono conto che il concerto sarebbe stato interrotto. Paul McCartney improvvisò sul testo di Get Back per ironizzare sulla situazione: «You’ve been playing on the roof again, and that’s no good, and you know your Mummy doesn’t like that… she gets angry… she’s gonna have you arrested! Get back!»
Il concerto ebbe fine al termine della stessa Get Back, con l’esclamazione scherzosa di John Lennon: «I’d like to say thank you on behalf of the group and ourselves and I hope we’ve passed the audition»
Il concerto è presente nel film del 2021 The Beatles: Get Back.
Alessandro Carugini