«Sono felicissima di vivere in un mondo in cui esiste ottobre. Saltare direttamente da settembre a novembre sarebbe orribile, non credi? Guarda questi rami di acero, non fanno venire i brividi per quanto sono belli?». Il mondo si divide in due categorie di persone: quelle che contano i giorni che le separano dal prossimo giugno, e quelle che condividono l’entusiasmo di Anna dai capelli rossi per l’arrivo di ottobre. Ponte tra gli ultimi scampoli d’estate e l’atmosfera natalizia, è il mese che ci trasporta nel cuore pulsante dell’autunno, stagione amata o odiata, ma dotata di un’innegabile fascino. Con i suoi colori caldi e avvolgenti, i giorni di pioggia e le cosiddette “ottobrate romane”, i festeggiamenti di Halloween e, ovviamente, il foliage, il trimestre che precede la fine dell’anno è da sempre fonte d’ispirazione per qualsiasi forma d’arte.
Dai musicisti ai poeti, passando per la moda, che tenta in ogni collezione di catturare le nuances uniche che la natura ci offre, tutti hanno provato, a volte riuscendoci, altre meno, a rendere omaggio al periodo autunnale. Ad avere una marcia in più, tuttavia, è la pittura, avvantaggiata, naturalmente, dalla possibilità di utilizzare colori di vario tipo, in grado di cogliere, almeno in parte, l’essenza e la bellezza di questi giorni malinconici e magici. Dalle Donne Bretoni di Van Gogh alle composizioni di Arcimboldo, in molti, moltissimi si sono cimentati con il tema. Ecco allora tre dipinti, per immergerci nell’armonia decadente del momento.
Autunno nell’Arte: sentieri alberati e pause di riflessione per Brendekilde
Basta dare una rapida occhiata a Wooded Path in Autumn, olio su tela di Hans Anderson Brendekilde per respirare a piedi polmoni i profumi del bosco e delle foglie umidicce a terra. Il paesaggista danese, attivo tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, era solito dedicarsi a scene di vita quotidiana dall’ambientazione rurale e a lui ben nota, essendo anch’egli nato in una famiglia di contadini. La campagna della sua Danimarca, i coltivatori all’opera, una routine sempiterna e semplice, ma essenziale.
Di tanto in tanto, però, Brendekilde si cimentava in vedute di diverso stampo, come questa. Un viale alberato, una donna seduta su una panchina, con il capo volto a sinistra, in attesa, sembra, delle due figure sullo sfondo che si stanno avvicinando. A farle compagnia, tutt’intorno, fronde variopinte mosse dal vento e uno specchio d’acqua che li riflette. Il manto costituito dal fogliame appare così vivo da permettere all’osservatore di percepirne lo scricchiolio sotto i piedi. Un cespuglio, più resistente degli altri, è ancora tinto di verde, tenace ricordo del tepore estivo, ma in procinto di cedere il passo al nuovo ciclo. La “fotografia” di un attimo sospeso nel tempo, solitudine e incontri imminenti tra umani, nel teatro mobile della Natura che muore, per poi rinascere.
Le stagioni “al femminile” di Mucha
Raffinato e delicato, Alfons Maria Mucha è stato tra i più importanti esponenti dell’Art Noveau, contribuendo, con le sue litografie, alla diffusione su larga scala di questa corrente artistica. I poster da lui realizzati, come le campagne pubblicitarie commissionategli, pongono spesso al centro la figura femminile, rappresentata in un modo inedito rispetto al passato. Se, fino al diciannovesimo secolo, la donna era stata quasi sempre dipinta come una creatura celeste, angelo del focolare etereo e intangibile, con la Belle Époque questo “culto della domesticità” inizia a traballare, per lasciare spazio a una concezione più moderna e carnale della femminilità. Le fanciulle non sono più fate sfuggenti, ma ragazze sinuose e dalla bellezza esuberante. Nel pannello decorativo “Le Stagioni”(1896), le ninfe protagoniste possiedono dei tratti distintivi specifici, che richiamano ciò che è descritto.
La musa che personifica L’Autunno rimanda alla mitologia greca; i tratti flessuosi e morbidi sono tipici della sua produzione e sulle foto da fatte dallo stesso Mucha alle modelle in posa per lui. La chioma fulgida, incoronata da una ghirlanda di crisantemi evoca le donne dei preraffaeliti, in un probabile omaggio a Dante Gabriel Rossetti e soci. I contorni marcati e stilizzati, integrati dal disegno realista, ricordano le stampe giapponesi, rese note in Europa dagli impressionisti. Gli arabeschi traggono ispitazione dai mosaici bizantini, dorati ed eleganti. Le tonalità adoperate, la scelta dei fiori per la corona, la presenza dei tralci di vite ci portano al tempo della vendemmia, della morte apparente di tutto prima della nuova alba in primavera, della vita che prosegue, implacabile; l’elemento umano, però, questa volta non subisce passivamente, ma si integra alla perfezione con quello naturalistico.
L’Autunno decadente nell’Arte di Grimshaw
L’epoca vittoriana, con il suo charme crepuscolare e sinistro, è forse la più adatta per rappresentare l’Autunno. Maestro dei paesaggi abbandonati e delle piovose scene cittadine, il britannico John Atkinson Grimshaw ha saputo dipingere il mondo, lasciando però fuori le brutture industriali, i profili minacciosi delle fabbriche e la sporcizia delle vie. Le ciminiere lasciano il posto ai tetti delle magioni diroccate, alle ramificazioni secche degli alberi, al chiaro di luna. È una malia amena eppure moderna, quella delle sue tele, tanto criticate dai contemporanei per l’utilizzo della camera oscura, in grado di compenzare le carenze tecniche dell’artista. Una “scorciatoia” usata con ogni probabilità anche da Caravaggio e Vermeer, ma che non intacca il valore delle loro opere, né di quelle di Grimshaw.
Autumn Morning è uno dei suoi dipinti più suggestivo, nonché puntuale raffigurazione della stagione autunnale. Non vi sono uomini o donne, in questo caso. L’unico accenno del passaggio umano è la grande casa, in apparenza disabitata, che si staglia sullo sfondo, nebulosa e dai contorni confusi, avvolta nella foschia del primo mattino. I colori, in realtà somigliano più a quelli di un tramonto, ma i primi raggi di sole sembrano aver colto un arancio che domina e predomina, in un abbraccio tiepido e melanconico. La vegetazione circostante è morente, e tutto appare abbandonato. Il cancello semiaperto, però, è un implicito invito ad entrare, a non aver paura di quel palazzo, né della flora agonizzante. Persefone è scesa negli Inferi, ma da essi farà ritorno, e ciò che è avvizzito rifiorirà, in un eterno alternarsi di giorni, mesi, stagioni.
Federica Checchia
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