Benvenuto Cellini, una vita divisa tra pregi artistici e difetti caratteriali

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Di Redazione Metropolitan

Ritratto a matita Benvenuto Cellini - Photo Credits: Azione.ch
Ritratto a matita Benvenuto Cellini – Photo Credits: Azione.ch

Nato il 3 novembre 1500 a Firenze, Benvenuto Cellini è stato uno scultore, orafo, scrittore, argentiere e artista italiano, considerato uno dei più importanti artisti del Manierismo. Di natura irrequieta e violenta, ebbe una vita avventurosa, segnata da contrasti, passioni, delitti, per i quali fu spesso costretto all’esilio o alla fuga.

Figlio di un colto capomastro, ingegnere e musico, si applica fin da giovane per apprendere il mestiere di orefice presso vari maestri d’arte a Bologna, Pisa e Roma. Il suo talento di artigiano interessa papa Clemente VII che, nel 1529 a Roma, lo nomina capo della bottega pontificia. Dal pontefice non ottiene grandi commissioni ma si distingue combattendo durante il sacco di Roma del 1527.

Benvenuto Cellini nella corte francese

Clemente VII muore nel 1534, e il nuovo papa Paolo III non è affatto ben disposto nei confronti del Cellini. Il suo comportamento eroico purtroppo non varrà a nulla poiché il nuovo pontefice della famiglia Farnese, lo emarginerà e lo farà incarcerare a Castel Sant’Angelo. Qui verrà “salvato” dal re di Francia, Francesco I.

Nel 1540 è a Fontainebleau, alla corte di Francesco I, dove operano anche Rosso Fiorentino e Francesco Primaticcio, i principali pittori della Scuola di Fontainebleau. Qui riprende l’attività di orefice realizzando una delle sue opere più celebri: La saliera d’oro. Questa monumento da tavola, forgiato in metallo prezioso, ritrae eleganti figure allungate e morbide tipiche del Manierismo francese.

Cellini al servizio dei Medici

Pur avendo un ruolo cardine nella corte francese, è nuovamente costretto alla fuga per un’accusa di sodomia, e così fa ritorno nella sua Firenze. Cellini venne calorosamente accolto dalla corte medicea da Cosimo I de’ Medici, che lo elevò a scultore di corte. Ed è nel 1554, che inizia la progettazione di un’opera, ammirabile ancora oggi nella Loggia dei Lanzi, ovvero il Perseo con la testa di Medusa. L’opera bronzea richiama sia all’arte quattrocentesca delle proporzioni aggraziate e alla posa possente, ma anche al gusto contemporaneo di scolpire la figura secondo molteplici punti di vista.

Per i Medici, restaura definitivamente il potere su Firenze e mette in atto un vasto programma di recupero e promozione culturale, rinnovando l’antico prestigio della città e aprendo nuovi grandi cantieri. Ed è proprio Cosimo I che richiama alla sua corte un gran numero di artisti e letterati, tra cui Cellini, con l’intento di riunire tutte le grandi personalità della cultura fiorentina.

Dalla scultura alla letteratura

Cellini da orefice e scultore, cominciò a concentrarsi sulla sua attività letteraria. Scrive un trattato sulla scultura ed uno sull’oreficeria, e compone anche delle rime. Ma la sua opera maggiore rimane Vita, un’autobiografia in due volumi che rimane inedita per due secoli e che conosce grande fortuna nel pubblico romantico. Quest’opera letteraria parve subito un capolavoro singolare del Rinascimento, per il tono innovativo e moderno.

Scritta con l’immediatezza e la sincerità nella narrazione, risulta uno stile liberissimo (anche dalle regole grammaticali), potente nella sua vivacità, appassionante, prepotente e bizzarro. L’artista si presenta come il protagonista di una vita straordinaria, segnata da prodigi ed eventi soprannaturali. Inoltre, l’uso di toni linguistici fortemente popolareschi ed un ritmo veloce, allontanano l’opera dall’armonia rinascimentale costituendone un’ulteriore elemento innovativo.

Negli ultimi anni di vita

L’ultima parte della vita del Cellini fu miserabile, piena di amarezze, solitaria. Benvenuto Cellini nella sua vita ebbe un carattere sanguigno ed iroso, inguaribilmente arrogante, non mancando di rimanere implicato in liti e risse con orafi rivali o mecenati meschini e taccagni: si macchiò perfino di diversi omicidi, spesso mossi da motivi futili.

Si racconta che sia stato avvelenato con del cibo e che, per questo motivo, per un anno egli si sia dovuto sottoporre a cure. Muore sempre a Firenze il 13 febbraio del 1571.

Federica Minicozzi