Il termine diversità culturale si può declinare nell’aspetto più concreto di una cultura, la sua manifestazione: la produzione artistica. Il 21 maggio sarà la Giornata Mondiale per la diversità culturale, il dialogo e lo sviluppo. In questo articolo parleremo di come le sottoculture siano penetrate nella produzione artistica di massa, garantendosi pubblico riconoscimento.
L’altra faccia della medaglia di un fenomeno di condivisione di arte, idee e sentimenti è quella che viene definita globalizzazione culturale. Questa è vista come un fenomeno di appropriazione da parte di gruppi dominanti.
Ovunque esiste della resistenza all’ingresso di altre culture nel proprio ristretto panorama, ma questa presunta aurea di impermeabilità non è altro che una costruzione ben difesa da certi partiti politici. Si sente ancora usare il “piano Kalergi” di sostituzione della popolazione (bufala cospirazionista, vedi Wikipedia) per giustificare politiche anti-migratorie o di “teoria gender“, costruita come nemico dell’eterosessualità e plagiatrice delle menti infantili (vedi polemica Salvini-Fedez). Piani, teorie e cospirazioni che non hanno nessun valore reale, se non quello di impedire lo scambio culturale.

Meticcio universale: la paura dell’altro
Le relazioni tra le culture non sono viste sempre di buon occhio. C’è chi parla di impoverimento (ma anche imbastardimento) dell’identità culturale, e chi parla di appropriazione culturale.
In entrambi i casi la soluzione sembra essere quella di non entrare affatto in contatto con le altre culture ed evitare di creare il “meticcio”.
La paura del diverso è un meccanismo naturale che ci permette di riconoscere il nostro gruppo grazie a caratteristiche simili. Tutto ciò che differisce è considerato una minaccia.
Ma se la sensazione di pericolo è comprensibile nei gruppi storicamente sottomessi, per i gruppi dominanti la paura dell’altro è spesso artificiale. La sensazione di pericolo si costruisce a partire da un narrazione allarmistica, pensiamo ad esempio alle migrazioni e a come vengono raccontate da una parte del paese razzista (sì, in Italia esiste il razzismo).
Ed è interessante notare come il “nemico” si trovi anche all’interno della nostra società, negli individui che per sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale differiscono dalla normalità definita dalla maggioranza.
La diversità culturale come ricetta contro l’odio
Che cos’è la diversità culturale? Il termine diversità culturale può apparire ambiguo, sembra infatti sottolineare una sorta di differenza incolmabile tra due culture, ma non è così.
Per diversità culturale si intende la pluralità come fonte di scambio e arricchimento.
Lo conferma anche la comunità scientifica: la “diversità umana” è la chiave del nostro successo evolutivo come specie. Allo stesso modo potremmo dire che la diversità culturale è necessaria per la sopravvivenza.

‘Diversità’ non come minaccia bensì come opportunità, come potenziale di arricchimento del nostro modo di vivere, questa ci pone di fronte a modelli culturali alternativi di esistenza, offrendoci soluzioni che probabilmente non avremmo mai immaginato. – Paul Valéry
La diversità è spesso accostata alla devianza, infatti il diverso è considerato tale perché non si adatta alle norme sociali. Così la diversità culturale, invece di essere un arricchimento, diventa un elemento da censurare. La deviazione culturale assume le sembianze del nemico da allontanare, con le buone o con le cattive maniere.
Conoscere la cultura di un gruppo sociale vuol dire riconoscere l’individuo; così come accettare il significato positivo di “diverso” ci apre alla possibilità di arricchire la nostra identità.
Il valore della diversità delle sottoculture (subculture)
Per usare le parole presenti nel documento dell’UNESCO “Dichiarazione universale sulla diversità culturale” (Parigi 02.12.2001 [1]): “La diversità culturale […] è una delle fonti di sviluppo, inteso non soltanto in termini di crescita economica, ma anche come possibilità di accesso ad un’esistenza intellettuale, affettiva, morale e spirituale soddisfacente“.
L’aspetto creativo non è affatto da sottovalutare. Grazie alla produzione artistica conosciamo meglio storia, geografia, culti e comportamenti di luoghi lontani. Il valore di una serie tv, di un film, di un album, di un opera d’arte è misurabile sulla base di come e quanto ha influenzato la nostra cultura.
La richiesta di rappresentatività in questo caso è sempre legittima: immortalare una realtà in un prodotto/creazione vuol dire essere riconosciuti, accettati e normalizzati. Parliamo per esempio di due fenomeni culturali che hanno cambiato il nostro modo di approcciarsi al “diverso”: la cultura Hip Hop e la cultura LGBTQIA.
Dal Bronx alla conquista del mondo
“L’Hip Hop è da considerarsi come una consapevole cultura internazionale che fornisce a ogni razza, tribù, religione e popolo una base per la comunicazione delle loro migliori idee e dei loro migliori valori” si legge in rete ed è l’esempio perfetto per descrivere la diversità culturale.
La cultura Hip Hop nasce negli anni Settanta nel Bronx, quartiere decadente e impoverito da scelte politiche controverse. Nel Bronx non entrava neanche la polizia e non vigeva nessuna regola, tranne quelle delle gang.
Con centinaia di morti sulle spalle, le gang optarono per una tregua e nel nuovo clima di pace e scambio culturale si posero le basi per la nascita di un vero e proprio movimento culturale: l’Hip Hop, denominato così da Lance Taylor, in arte Afrika Bambaataa e fondatore della Universal Zulu Nation (dal film Zulu, 1964) che si proponeva di fermare la violenza nel Bronx grazie alla cultura Hip Hop.
La cultura Hip Hop oggi ci circonda, partita da un quartiere è arrivata a conquistare il mondo. Basta fare riferimento a discipline come la breakdance, i graffiti (o writing) e tutto ciò che è collegato all’aspetto musicale.
L’Hip Hop parla ai giovani di razzismo e diritti civili, di emarginazione e abusi di potere tanto ieri quanto oggi. Sono concetti universali, che ogni cultura ha potuto fare propri e usare per fare rumore, per protestare, in perfetto stile Zulu Nation.
Drag, pride e icone gay
Ci ha pensato RuPaul Andre Charles con la sua Drag Race a far arrivare la cultura LGBTQIA in tutto il mondo. Il programma è famoso tanto per l’intrattenimento, quanto per la capacità di far vivere allo spettatore la cultura drag e gay a tutto tondo (quasi). Niente è è perfetto, soprattutto la Drag Race è stata criticata per non essere inclusiva e di essere fautrice del cosiddetto capitalismo rosa (mercato specifico focalizzato sulla comunità gay, definizione qui).
L’aspetto positivo, come abbiamo detto, è quello dell’interazione culturale: la Drag Race, o prodotti con lo stesso pubblico di riferimento, hanno portato a un arricchimento culturale.
Storicamente la sottocultura gay-lesbica-bi-trans ha avuto alti e bassi di riconoscimento, con un segno negativo nel periodo del “cancro dei gay” (titolo del New York Times del 3.07.1981 sulla scoperta dell’AIDS: «Raro cancro osservato in 41 omosessuali»[2]) e un segno positivo proprio in questo ultimo decennio.
La comunità LGBTQIA ha una propria cultura fatta di storia, moda, musica, cinema e personaggi (icone gay, attivisti ed esponenti) che si sono battuti per ottenere diritti ed eliminare la discriminazione. Anche la produzione culturale è ricca e sfaccettata ed ha un elevato impatto sulle culture nelle quali approda. Viene acclamata come “il cambiamento” o temuta come deriva del politicamente corretto.
Possiamo definire il Pride (il mese dell’orgoglio) un evento culturale della comunità LGBTQIA, un mese di incontri, campagne di sensibilizzazione e attenzione mediatica come spazio di rappresentazione per una realtà non più invisibile.
In conclusione, la diversità culturale…
In conclusione, la diversità culturale, nella sua pluralità di forme e categorie, è un processo naturale. Un arricchimento per l’umanità che dovrebbe essere favorito dalle politiche nazionali, invece che osteggiato.
Pensare internet come strumento per veicolare la diversità culturale è il primo passo verso un concetto di umanità che si riconosca nel messaggio “diversi ma uguali”.
Sitografia:
[1] Documento UNESCO su “Diversità culturale”: http://www.unesco.org/new/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/diversity/pdf/declaration_cultural_diversity_it.pdf
[2] New York Times (3.07.1981): https://www.nytimes.com/1981/07/03/us/rare-cancer-seen-in-41-homosexuals.html
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.