Fernando Pessoa e il dolore esistenziale del “mai posseduto”

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Di Redazione Metropolitan

Non c’è arte senza immaginazione e questo è particolarmente vero per un autore come Fernando Pessoa.

Vissuta la sua intera esistenza all’ombra, raggiunge la notorietà solo dopo morto. Quel che spesso avviene per i grandi artisti. Lascia questa vita a soli 47 anni e i suoi manoscritti, racchiusi dentro un baule, vengono alla luce solo successivamente alla sua fine.

La vita

Fernando Pessoa, una delle personalità più complesse della letteratura ventesimo secolo, nasce il 13 giugno del 1888 a Lisbona. Perde il padre quando ha solamente cinque anni: da quella perdita inizierà il suo viaggio verso mondi immaginifici, presso i quali trascorrerà tutta la sua esistenza. La madre si risposerà e avrà altri figli. Anche per questa ragione, oltre che per un’inclinazione naturale dell’anima, Pessoa tenderà a sentirsi in ogni momento un emarginato della vita. Gli sembrerà sempre di toccare l’esistenza, senza mai arrivare a possederla per davvero. Vivrà l’infanzia con l’adolescenza tra Lisbona ed il Sudafrica, per tornare a Lisbona da giovane uomo, a ventidue anni, per poi trascorrervi l’intero arco della resistenza. Solo la morte gli consegnerà la gloria, dal momento che in vita resterà nascosto anche a se stesso, assumendo identità molteplici, ognuna contrassegnata da una ben definita identità.

Fernando Pessoa, web
Fernando Pessoa, web

Fernando Pessoa, la poetica e l’uso degli eteronimi

Nei suoi scritti, Fernando Pessoa ricorre all’impiego di differenti identità, i cosiddetti eteronimi (o eteronomi). Ognuna di esse possiede un nome e tratti specifici diversi della personalità, in una sorta di schizofrenia in cui il poeta frammenta ad arte il proprio io. Esattamente come se avesse racchiuse in sè altre persone, ognuna con la propria anima e vissuto. Ognuna di loro poeta e scrive in modo diverso. In questo risiede indubbiamente la grandezza eccelsa dell’autore portoghese. Chiunque sia colui di cui, di volta in volta, Pessoa impugni la penna, l’elemento fondamentale della sua poetica globale è l’inquietudine. Quel senso di precarietà che pervade ogni singolo scritto, dalla prima fino all’ultima parola. Il filo conduttore è quel contrastante entusiasmo febbrile nello scrivere, concepito come possibilità unica di salvarsi dalla noia, per non affogare in essa.

“L’origine mentale dei miei eteronomi è nella mia organica e costante tendenza alla spersonalizzazione e alla simulazione”.

Il poeta è un fingitore

La vita appare agli occhi di Pessoa come una gigantesca finzione nella quale l’uomo si trascina, dall’inizio alla fine. Lo stesso poeta è, di per sé, un fingitore. Probabilmente il più grande di tutti, ma anche il più abile, perché usa a proprio vantaggio le parole.

Così il poeta si trova a fuggire della realtà per trovare asilo, da esiliato della vita, come lo stesso Pessoa sente di essere, in mondi paralleli costruiti sulla fantasia. Non può esserci arte senza fantasia: è dogma imprescindibile in Pessoa.

Così la fantasia gli suggerisce spesso un ritorno interiore al mondo dell’infanzia, finanche all’epoca fetale, del rassicurante quanto incontaminato nido materno. Quello che Pessoa cerca di riprodurre per tutto il tempo della sua esistenza, scegliendo di vivere nascosto, fuori da ogni possibile clamore.

“So che il mondo esiste, ma non so se esisto”.

Il tema del dolore

Il dolore è il grande protagonista della poetica di Fernando Pessoa. E anche il dolore è immaginato. Anzi, l’autore arriva alla conclusione che il dolore immaginato sia più nobile e più forte di quello realmente avvertito. Piuttosto che il dolore, è la pretesa del dolore che arriva a fare davvero male all’uomo. Si inizia col dolore della nascita, e da lì si prosegue. Ogni persona conserverebbe in sè la memoria di quel dolore iniziale e se lo trascinerebbe dietro, spesso del tutto inconsapevolmente, ma così intenso da di condizionarne l’esistenza. Il dolore poetico si esplicherebbe attraverso quattro fasi distinte: il dolore reale, quello dal quale ha origine la poesia; quello immaginato dal poeta stesso; quello autentico del lettore che si rivede in ogni verso della poesia; infine il “dolore intellettualizzato”, che è quello che origina dalla libera interpretazione che il lettore conferisce allo scritto a cui si accosta.

“Ho mal di testa e di universo.
Ho mal di testa perché ho mal di testa. Mi fa male l’universo perché la testa mi fa male. Ma l’universo che veramente mi fa male non è quello vero, quello che esiste perché non sa che io esisto, ma quello, proprio mio, che, se passo le mani nei capelli, mi fa credere di sentire che essi soffrono tutti soltanto per farmi soffrire”.

Fernando Pessoa, web
Fernando Pessoa, web

Fernando Pessoa, la letteratura come antidoto alla vita vera

Pessoa è fondamentalmente un sognatore, che trova nel sogno l’appiglio del suo disadattamento. La letteratura rappresenta la modalità con cui il sogno si materializza, e diviene a tutti gli effetti il suo mondo parallelo, dove preferisce vivere e da dove idealizza anche l’amore. Vive una lunga relazione con la sua giovane segretaria Ophelia, senza mai arrivare con lei ad una stabilità, dal momento che non si riconosce negli schemi e nelle convenzioni. Pessoa rifiuta le maschere che la società gli impone, forse per incapacità, o più probabilmente per una scelta di libertà interiore, senza le schiavitù imposte da vincoli che nulla hanno a che vedere con l’amore. L’amare qualcuno è per lo stesso poeta solo un idealizzarlo, quindi non si può che essere puramente innamorati di sè stessi, e mai davvero di un’altra persona.

“Non amiamo mai nessuno. Amiamo solo l’idea che ci facciamo di qualcuno. È un concetto nostro quello che amiamo: insomma, amiamo noi stessi”.

Fernando e Ophèlia Queiroz, web
Fernando e Ophèlia Queiroz, web

La saudade portoghese

Fernando Pessoa morirà a soli 47 anni per una cirrosi epatica su base alcolica, il 30 novembre del 1935. Pochissimi altri autori sono riusciti a descrivere così profondamente come ha fatto lui il disadattamento dell’uomo moderno, il suo sentirsi sempre ai margini, nel suo navigare a vista nel mare dell’inquietudine. Nessuno è mai riuscito a interpretare così minuziosamente quella che viene comunemente definita saudade portoghese. La saudade intesa come nostalgia di qualcosa che in realtà non si è mai posseduto, il ricordo di un bene assente di cui non si è mai stati partecipi. Il profondo disadattamento al mondo consente a Pessoa di riuscire a penetrare la vita nella sua profondità, arrivando paradossalmente a possederla, senza mai viverla realmente. In definitiva, il poeta, con il suo sentire, tocca l’assenza autentica del mondo, senza esserne mai contaminato.

“La letteratura, come tutta l’arte, è la confessione che la vita non basta”.