Giorgio Gaber: il teatro canzone e altre storie

Foto dell'autore

Di Alessandro Carugini

Compie oggi gli anni Giorgio Gaber, all’anagrafe Giorgio Gaberščik. Nella sua vita è stato un po’ di tutto: cantautore, commediografo, attore, cabarettista, chitarrista e regista teatrale. Senza ombra di dubbio uno dei più importanti nomi dello spettacolo e della musica italiana del secondo dopoguerra. Soprannominato Il Signor G dai suoi estimatori, è un precursore del genere del teatro canzone ed è uno tra gli artisti con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco.

Gli esordi di Giorgio Gaber ed il successo

A metà degli Anni Cinquanta, Genova e Milano sono l’avanguardia culturale italiana. Giovani artisti talentuosi come Adriano Celentano, Luigi Tenco e Enzo Jannacci, solo per citarne alcuni, segnano la nascita del rock ‘n’ roll nel nostro Paese. Su quell’asse artistico si muove anche Giorgio Gaber, che esordisce come chitarrista dei Rock Boys, il primo gruppo di Celentano. Dopo un EP per Dischi Ricordi, nel 1959 fonda I Due Corsari con l’amico Jannacci. Il duo si distingue fin da subito per i testi umoristici da cabaret e precursori del rock demenziale di venti anni dopo.

Ma presto si avvertono urgenze artistiche ben più profonde, c’è voglia di mettersi in gioco con qualcosa, c’è voglia di innovazione e creare della musica che sia insieme suono e letteratura.

L’ispirazione arriva dalla vicina Francia, ma soprattutto dal jazz, che si scopre più adatto per esprimere quelle atmosfere introverse e speculative proprie degli artisti un po’ più intellettuali. Nasce una scena musicale impegnata, non schierata politicamente, ma con una sensibilità umanistica, alla ricerca di note per raccontare la società che viviamo e che è in continua evoluzione. Questa ricerca accomuna Gaber a Paoli, Endrigo, Bindi, Conte, Tenco e Jannacci. Dai testi di Gaber emerge una Milano crepuscolare, nebbiosa e un po’ amara, una città piena di dubbi, che cerca di resistere all’inesorabile avanzata del “miracolo economico” con le sue certezze, la sua alienazione e il suo materialismo. Appartengono a questi anni brani come ‘Trani a gogò‘ e ‘La ballata del Cerutti‘, due ballate sui locali malfamati della Milano popolare dell’epoca, scritte con il drammaturgo e paroliere Umberto Simonetta.

Giorgio Gaber ed il teatro canzone

Alla fine degli anni settanta il consumismo è imperante, mentre nelle periferie covano i germi della povertà e della solitudine, dell’emarginazione e della violenza. Milano è ormai una metropoli ingrigita e inquinata come tante altre, e Gaber racconta questo cambiamento nella celebre ‘Com’è bella la città’, paradossale e amara esaltazione delle sue luci menzognere. All’alba degli Anni Settanta inventa, insieme al pittore Sandro Luporini, il “teatro canzone”, forma di predicazione di un ideale vangelo laico in cui si fondono il canto e la recita, la musica ed i monologhi.

Da questo punto in avanti nasce una vivace narrazione di situazioni, personaggi e storie, che crea un’interazione diretta con il pubblico, merito di una sintassi molto semplice, vicina alla lingua parlata, che si mette al servizio di una prosa graffiante come quella di ‘Céline’. Il tutto animato da una recitazione cantata in stile Jacques Brel, a cui si aggiunge una nota di estemporaneità. Gaber è quindi un artista, un intellettuale che parla la lingua del popolo, in maniera semplice, elegante e profonda. In mezzo a quella crescente ondata di rumori, violenza, volgarità, ostentazioni varie, Gaber si chiede come si senta l’individuo medio; e lo coglie mentre recita una conformistica parte in ‘Far finta di essere sani’, un album dalle atmosfere di smarrimento che in parte ricordano Freud.

Il “teatro canzone” è una forma d’arte concepita come un impegno civile, e per la sua analisi sociale non è poi troppo distante dall’immediatezza delle vignette che Guareschi pubblicava su Candido. Questa svolta artistica implicò anche l’abbandono della televisione, in nome di un rapporto con il pubblico più diretto e autentico, e segnerà appunto i successivi trent’anni della carriera di Gaber.

Gli ultimi anni e la sua eredità artistica

Nel 2001 Gaber pubblica un nuovo disco a 14 anni di distanza da ‘Piccoli spostamenti del cuore: La mia generazione ha perso’. Il nuovo lavoro, da un lato presenta alcune canzoni degli spettacoli precedenti rielaborate come ‘Destra-Sinistra’ e ‘Quando sarò capace d’amare’, dall’altro contiene alcuni inediti fra cui ‘La razza in estinzione’, che ha nel testo il verso che dà il titolo all’intero lavoro.

Ormai segnato dalla malattia, compare nello stesso anno in due puntate del programma ‘125 milioni di caz..te’ di e con Adriano Celentano, insieme ad Antonio Albanese, Dario Fo, Enzo Jannacci. Durante una surreale partita a carte i cinque cantano insieme ‘Ho visto un re’. Il successo di quelle serate lo spinge a mettersi al lavoro per un nuovo disco.

L’album in questione sarà ‘Io non mi sento italiano’, che verrà pubblicato postumo. A causa dell’aggravarsi della malattia, Giorgio Gaber muore il 1º gennaio del 2003, nei pressi di Lucca.

La Fondazione Giorgio Gaber nel 2004 ha creato in suo onore il Festival teatro canzone Giorgio Gaber. Hanno partecipato a questa manifestazione tra i più importanti artisti italiani che hanno riproposto nelle varie edizioni i brani di Giorgio Gaber.

Il 13 novembre 2012 viene pubblicato l’album tributo ‘Per Gaber… io ci sono’, un cofanetto composto da 3 CD contenente canzoni dell’artista interpretate da 50 artisti italiani.

Il 21 gennaio 2013, in occasione del decennale dalla sua scomparsa, Fabio Fazio ha condotto uno speciale di Che tempo che fa intitolato G di Gaber, un omaggio dove alcuni artisti ed amici di sempre del Signor G, lo hanno ricordato interpretando le sue più celebri canzoni.

Il 18 dicembre 2021, dopo venti anni di chiusura e ristrutturazione, viene riaperto lo storico Teatro Lirico di Milano, rinominato “Teatro Lirico Giorgio Gaber“.

Alessandro Carugini

Seguici su Google News