Il 15 Marzo del 44 a.C. la storia cambiò il suo volto e il mondo romano ebbe la sua più grande spaccatura interna quando un gruppo di circa venti uomini decise di uccidere Gaio Giulio Cesare nella congiura che sarebbe stata conosciuta, da allora in poi, con il nome delle Idi di Marzo.

Il cesaricidio venne concepito, in seguito, come un atto di eliminazione fisica di qualsiasi individuo pronto ad attentare alla libertà altrui per ottenere, in ogni modo o maniera, un accrescimento del proprio potere personale. Il termine si caricò, nell’arco del tempo, di una connotazione sempre più negativa ed estrema, portando in sé la volontà di conservare ad ogni costo una tradizione consolidata contro la volontà di autoaffermarsi da parte di un dittatore. E oggi, anniversario della congiura, occorre assolutamente ricordare uno degli atti più brutali dell’antichità.

Le premesse della congiura

Dopo la fine del primo triumvirato e la guerra civile tra lui e Pompeo, Gaio Giulio Cesare si trovò in una posizione di preminenza all’interno della politica romana. Le statue con la sua figura, poste sui Rostri, vennero ornate con un diadema di stampo ellenistico, il condottiero venne molte volte acclamato con l’appellativo rex e, durante la festa dei Lupercalia, Cesare assistette all’evento al di sopra di un seggio dorato, indossando un vestito color porpora e una corona d’alloro. Alla fine dei festeggiamenti gli venne addirittura donato un diadema da Marco Antonio, ma Cesare, vedendo il malcontento della popolazione, decise di rifiutarlo. Questo particolare episodio, avvenuto davanti ai cittadini romani, creò una sorta di connessione tra il leggendario Romolo e Cesare stesso, fomentando lo scontento e trasformando il comandante, agli occhi di tutti, in un dittatore e tiranno.

Le Idi di Marzo, dedicate alla celebrazione di Marte, furono il momento propizio per attuare la congiura, dato che tre giorni dopo il condottiero sarebbe dovuto nuovamente partire per una campagna militare contro i Geti ed i Parti. I venti uomini a capo dell’assassinio organizzarono il piano alla perfezione, chiamando persino dei gladiatori nella Curia di Pompeo per l’allestimento di uno spettacolo al fine di rendere l’atmosfera il più normale possibile. Ormai congedati dallo stesso Cesare i duemila ispanici della propria scorta personale, l’agguanto fu considerato semplice da attuare.

Le Idi di Marzo e la morte di Giulio Cesare

Fu così che, nella seduta del senato del 15 Marzo del 44 a.C., Giulio Cesare venne circondato dai suoi stessi assassini e morì con ventitré pugnalate ai piedi della statua del suo acerrimo nemico Pompeo Magno. Il gesto venne considerato sin da subito un’espressione del desiderio, da parte dei senatori, di difendere la tradizione e l’ordinamento della Repubblica, poiché gli stessi romani furono sempre contrari all’affermazione del potere di un singolo individuo. Con la paura che il comandante potesse diventare re di Roma, decisero così di eliminarlo per scongiurare ogni possibile affermazione della sua autorità.

Nonostante il gesto brutale per allontanare ogni possibile tirannia, dopo la morte di Cesare il mondo cambiò completamente e la fine della Repubblica fu comunque inevitabile. L’assassinio non fece altro che innescare una serie di eventi che portò Ottaviano, figlio adottivo di Cesare e futuro imperatore Augusto, ad affermarsi e porre fine, con il Principato, alla tradizionale forma di governo romana. I cesaricidi, dopo l’avvenuta congiura, subirono conseguenze terribili per il loro gesto e morirono uno dopo l’altro in una scia di sangue e vendetta che terminò soltanto nel 42 a.C.

La morte di Cesare nella letteratura

Tu quoque, Brute, fili mi!

Tra i venti uomini che uccisero Gaio Giulio Cesare ci fu persino Marco Giunio Bruto, figlio adottivo dello stesso. Svetonio raccontò l’accaduto nelle sue “Vite dei Cesari” e riportò, all’interno della narrazione, la frase che sarebbe poi rimasta eterna: “Tu quoque, Brute, fili mi!” (“Persino tu, Bruto, figlio mio!”). Celebre per essere diventata il simbolo del tradimento di sangue, la formula divenne idiomatica e fu riportata in alcuni delle opere letterarie più famose della storia. Infatti, lo stesso William Shakespeare si ispirò al cesaricidio quando scrisse, nel 1599-1600, il famosissimo dramma “Giulio Cesare”, ponendo un inserto latino con la stessa locuzione all’interno del testo inglese.

Una storia incredibile che, ancora oggi, ritorna alla mente per la sua forza ed incredibile brutalità. Giulio Cesare è diventato, nell’attualità, il simbolo di una potenza incontrollabile, di un’oppressione del costume e delle usanze romane, di un destino che, nonostante la morte, si è compiuto ugualmente, portando alla fine di un’epoca e verso l’inizio del Principato e dell’Impero. E, a distanza di secoli, le Idi di Marzo rimangono un evento affascinante, epocale, ancora tutto da studiare e apprendere con curiosità.

Monica Blesi.

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