Una vita dietro la cinepresa, quella di Guy Ritchie. Il regista britannico, nato ad Hatfield il 10 settembre 1968, ha avuto chiaro sin dall’adolescenza quale sia il suo posto nel mondo. A soli sedici anni, infatti, ha abbandonato gli studi per dedicarsi alla Settima Arte. Dopo anni, nel 1995, debutta con il corto The Hard Case, ma il punto di svolta arriva nel 1998, con Lock & Stock-Pazzi scatenati.
Noto al grande pubblico per la sua duplice natura, mente dietro commedie action brillanti e dinamiche, ma anche creatore di blockbusters, ha saputo farsi largo nell’affollato universo cinematografico, firmando diverse pellicole di livello. Tra alti e bassi, nella carriera come nel privato (ricordiamo il suo chiacchieratissimo matrimonio con Madonna), la sua filmografia vanta titoli notevoli, tutti in puro stile Ritchie. C’è chi lo ama e chi non lo apprezza, ma una cosa è certa: il suo tocco è inconfondibile. Ecco, allora, cinque pellicole per conoscere, riconoscere o dare una seconda possibilità al cineasta inglese.
Guy Ritchie: gli esordi e i gangster movies
Lock & Stock-Pazzi scatenati (1998). Esordio sul grande schermo di Ritchie, il film segna la nascita attoriale di Jason Statham e Vinnie Jones, dopo un passato rispettivamente nel mondo della truffa e del calcio. Il comedy thriller racconta le disavventure di Bacon, Eddie, Tom e Soap, quattro amici dell’East End londinese, che racimolano la somma necessaria per sedersi al tavolo da gioco di Harry ‘Accetta’ Lonsdale, malavitoso di zona. Trascinato dalla colonna sonora, dalle scelte registiche inusuali e dalla presenza nel cast di Sting, critica e pubblico lo acclamano, affascinati da questa storia “alla Trainspotting”.
Snatch-Lo strappo (2000). La commedia gangster con Jason Statham, Stephen Graham, Brad Pitt e Benicio del Toro consacra definitivamente Guy nel panorama internazionale. Le vicende legate al diamante da 86 carati catapultano il regista oltre lo status di astro nascente e, grazie a un ritmo serrato, al dark humor e a dialoghi accattivanti, siamo di fronte al suo capolavoro. Altro elemento distintivo è il famoso “Jump Cut”. Si tratta di una tecnica di montaggio attraverso cui una porzione di tempo viene esclusa alla visione. Un taglio “spezza” la ripresa in due sezioni; la parte centrale tra di loro viene rimossa, in modo da ottenere la sensazione di salto in avanti nel tempo della narrazione. In Snatch quest’operazione è ben visibile nella frenetica introduzione dei personaggi, ed è il marchio di fabbrica di Guy Ritchie. Non a caso, in molti lo chiamano “The Jump Cut Specialist”.
The Gentlemen (2019). Matthew McConaughey, Hugh Grant, Colin Farrell, Charlie Hunnam, e molti altri. Ritchie chiama a raccolta una squadra di tutto rispetto per questo racconto della criminalità made in UK. Data l’accoglienza positiva, Netflix ha ordinato una serie spin-off tratta dalla pellicola, disponibile da ieri sulla piattaforma. Negli otto episodi che compongono lo show, riscontriamo chiaramente il modus operandi che caratterizza le sue produzioni cinematografiche.
Sherlock Holmes e i “film per tutti”: passo falso o voglia di sperimentare?
Sherlock Holmes (2009). Trainato dalla travolgente performance di Robert Downey Jr., nei panni del geniale investigatore e dell’altrettanto convincente Jude Law, nel ruolo del Dottor Watson, Sherlock Holmes è stato un successo al botteghino, così come il suo sequel del 2011, Sherlock Holmes-Gioco di ombre. I puristi avranno storto il naso, ma la sceneggiatura, le spassose interpretazioni, ma anche le scelte artistiche originali, hanno tolto il “consulente investigativo” di Baker Street dalla naftalina, donandogli un nuovo lustro. La seconda vita del detective ha innescato una serie di rielaborazioni del personaggio di Sir Arthur Conan Doyle, più o meno riuscite. Tra di esse, la serie targata BBC, con uno strepitoso Benedict Cumberbatch e Martin Freeman.
Aladdin (2019). È un connubio riuscito a metà, quello tra Ritchie e la Disney. La mano del director c’è e si vede, e le leggere modifiche alla trama originale sono accattivanti e portano una ventata di freschezza. A reggere il cast del live action, un Will Smith in gran forma nelle vesti blu del Genio. L’attore se la deve vedere con l’ombra di un gigante, il mai troppo compianto Robin Williams, senza però uscirne con le ossa rotte, anzi. Eppure, nonostante i numeri musicali, i costumi e l’atmosfera generale, il confronto con la pellicola d’animazione è insensato e impossibile. Neanche Ritchie, con le sue trovate e i suoi trucchi, riesce a regalare la stessa magia del cartone del 1992. Inoltre, i fans della prima ora non gli hanno perdonato questa ulteriore virata verso il mainstream. Avevano chiuso un occhio con Sherlock Holmes, ma il Tappeto Volante è stato troppo. Resta, in ogni caso, un musical godibile e una delle trasposizioni meglio riuscite dei classici disneyani, oltre che una chance, per le nuove generazioni, di avvicinarsi al camaleontico Guy Ritchie, la cui testa corre più veloce dei suoi personaggi. Ed è tutto dire.
Federica Checchia
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