Ian Stewart, il sesto Rolling Stone

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Di Redazione Metropolitan

Quando Brian Jones il 2 maggio del 1962 pubblicò su Jazz News un annuncio in cui cercava musicisti per formare una band, il primo a telefonare fu Ian Stewart, un pianista fieramente scozzese. Jagger, Richards e soprattutto Wyaman e Watts, arrivarono dopo. I Rolling Stones iniziarono a nascere dalla risposta di Stewart a quell’annuncio.

I Rolling Stones con Ian Stewart (primo da sinistra) - Ph: web
I Rolling Stones con Ian Stewart (primo da sinistra) – Ph: web

Una scelta contro corrente

Suonava già in molti club della scena Jazz londinese, Stewart, quando iniziò a provare con Jones. Spesso si univa ai Blues Incorporated di Alexis Korner, al Marquee Club o anche all’Ealing Club. E fu proprio in quest’ultimo posto che gli capitò di ascoltare Jagger e Richards e di trovarli interessanti, tanto da invitarli a provare insieme a lui e Jones. Quello fu l’inizio.

Ben presto Stu si rese conto di dover decidere se continuare a suonare con i musicisti di folk blues tradizionale, coi quali aveva sempre suonato, o compiere una scelta radicale e fare un salto nel buio con questi giovani ragazzi coi quali si era divertito a suonare dei boogie veloci e pezzi di Chuck Berry e che avevano intenzione di saltare le staccionate e andare oltre ciò che era già stato esplorato. Stewart fece il salto nel buio.

Ian Stewart - Ph: The Bob Bonis Archives
Ian Stewart – Ph: The Bob Bonis Archives

“Ian Stewart. Lavoro per lui ancora oggi. Per me i Rolling Stones sono la sua band. Senza la sua competenza e le sue doti organizzative, senza il balzo che fece lasciandosi alle spalle le proprie origini per sfidare la sorte e suonare con un branco di ragazzini, noi non saremmo andati da nessuna parte.” Keith Richards

Charlie Watts, Andrew Oldham e l’estromissione dalla band

Fu di Stewart l’idea di prendere Charlie Watts come batterista, e non fu affatto facile perché quest’ultimo suonava già in un altro gruppo e soprattutto aveva bisogno di soldi, cosa che all’inizio gli Stones non potevano garantirgli. Ma dopo un corteggiamento lungo qualche mese e grazie all’ascendente di Stu, finalmente Watts capitolò. Intanto si era aggiunto alla formazione anche il bassista Bill Wyman.

Quando Andrew Loog Oldham divenne manager della band, pensò di farne l’alternativa rude ai Beatles. Ne curò l’immagine e gli procurò un contratto con la Decca. Ma si convinse che sei elementi su una locandina fossero troppi da ricordare. Inoltre, Ian all’aspetto era quello più lontano dal resto del gruppo (non era brutto sporco e cattivo). Nel ’63 Oldham decise di estromettere il pianista.

Ian Stewart con i Rolling Stones nel '65 durante il tour negli Stati Uniti
Ian Stewart con i Rolling Stones nel ’65 durante il tour negli Stati Uniti

Il nuovo ruolo nella band

Stewart uscì dalla formazione ufficiale della band ma, con grande sorpresa degli altri ragazzi, non la prese male, in qualche modo se l’aspettava. Inoltre, amava la musica e gli piaceva quello che stavano costruendo gli Stones, quindi decise di restare e diventare il loro road manager. Li accompagnava dappertutto stipandoli nel retro del suo furgoncino Volkswagen. La cosa più importante era l’attrezzatura; caricato tutto diceva ai ragazzi: “Vedete di incastrarvi”.

Ma soprattutto continuò a suonare il piano con loro nei concerti, tranne quando si trattava di suonare accordi minori:

“Non suono brani con accordi minori. Quando sono sul palco con la band e arriva un accordo minore tolgo le mani dal piano per protesta”.

Si rivolgeva ai ragazzi chiamandoli affettuosamente “i miei prodigi da tre accordi” e prese parte a numerosi brani della band (Let’s Spend the Night Together, Around and Around, Down the Road Apiece, Honky Tonk Women, Let It Bleed, Brown Sugar, Star Star e It’s Only Rock ‘n Roll tra gli altri) fino all’85, anno in cui morì per un attacco cardiaco a soli 47 anni.

Ian Stewart nel '79 - Ph: Getty Images
Ian Stewart nel ’79 – Ph: Getty Images

“Mi ha sempre incoraggiato, soprattutto all’inizio quando sono entrato a far parte degli Stones, durante le prime prove quando dovevo imparare e fare mio tutto il repertorio precedente.” Ronnie Wood

L’anima degli Stones

Quando Stewart morì, i Rolling Stones tennero un concerto in suo omaggio al 100 Club: erano quattro anni che non salivano insieme su di un palco a causa del progetto solista che Jagger stava tentando di portare avanti.

“Quello di Stu è stato il colpo più forte che ho subito, a parte la morte di mio figlio. All’inizio sei anestetizzato, vai avanti come se lui ci fosse ancora. E lui ci fu, spuntando in un modo o nell’altro per molto tempo. Succede ancora adesso. Le cose che ti attraversano la mente sono le cose che ti fanno ridere, che vi tengono vicini, come il suo modo di parlare con la mascella stretta”. Keith Richards

Prima di morire Stu aveva fatto in tempo ad iniziare le session per Dirty Work, il disco degli Stones che uscì nell’86. Per ricordarlo i ragazzi decisero di inserire nell’album come ghost track una sua versione della durata di circa 30 secondi di Key to the Highway di Big Bill Broonzy.

Stu Ball 1966 – Stewart, Richards, Wyman, Meehan

Quando nell’89 i Rolling Stones entrarono nella Rock ‘n’ Roll Hall of Fame, Jagger riuscì a fare inserire il nome di Stewart nella headline ufficiale della band.

“Parlava sempre di quanto fosse meravigliosa la Scozia e in particolare la parte est della Scozia. Una volta andai, finalmente, con lui nel luogo in cui era nato ed era davvero un posto stupendo, aveva ragione! È sempre nel mio cuore, fra i miei ricordi più cari.” Mick Jagger

Emanuela Cristo

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