Quarant’anni fa, il 14 luglio del 1982, veniva proiettata a Londra la prima del film Pink Floyd – The Wall. Per capire appieno la pellicola ed il suo significato bisogna tuttavia tornare indietro di tre anni. Era il 1979 e la band britannica dei Pink Floyd, nel pieno del successo, pubblicò l’album omonimo, uno dei più importanti e iconici concept album della storia. Il film è una trasposizione visiva delle canzoni del disco.
La trama, così come le canzoni all’interno dell’album, sono spezzoni della vita del protagonista, interpretato dal cantante dei Boomtown Rats, Bob Geldof. Questi spezzoni ci vengono presentati in parte sotto forma di immagini reali, in parte sotto forma di disegno. Ma in questi flashback non solo troviamo l’autobiografia dell’artista, ma anche una critica contro il sistema scolastico di quegli anni, una critica all’incomunicabilità nei rapporti di coppia, la presentazione e la critica del rapporto rockstar-fans, fino ad arrivare allo sfociamento nella follia da parte del protagonista richiamando al nazismo. Tutto questo reso ancor più crudo dai disegni di Gerald Scarfe, che ci proiettano nella mente del protagonista tramite immagini crude e deformate.
La trama
Il film si apre con il protagonista, la rockstar Pink, in una camera d’albergo poco prima di un suo concerto. Guardando un film di guerra alla televisione ripensa ai momenti più significativi della sua vita, fatta di ricordi tristi e angoscianti: la morte del padre durante la seconda guerra mondiale, i difficili anni della scuola, di quel sistema educativo autoritario e dedito all’omologazione dei suoi studenti, il rapporto con la madre iperprotettiva, l’incomunicabilità con la moglie infedele e il fanatismo delle groupies.
Tutti questi momenti rappresentano i mattoni del muro (the Wall) psicologico che l’artista ha creato intorno a sé per isolarsi dal mondo esterno. Ma è questo autoisolamento che lo porta alla follia. Quest’ultima, porta nel finale Pink ad immaginare un suo concerto come un grande raduno nazista, in cui i fan obbedienti, ascoltano l’artista predicare dal palco e squadre naziste marciare sotto il suo comando. Quando tuttavia, per un’istante, questa pazzia vien meno, l’artista inizia nella sua mente un processo contro se stesso. Tutti i personaggi lo accusano delle sue infamie, fino a che non sopraggiunge la sentenza del giudice Verme, abbattere il muro. All’abbattimento di quest’ultimo Pink ritorna quindi nel mondo reale.
Le immagini di un album: The Wall
La pellicola, come già detto in precedenza, è la trasposizione visiva dell’omonimo concept album dei Pink Floyd. Concept album perché ogni brano rappresenta un tassello della storia che viene raccontata. Questa è quasi interamente un’autobiografia dello storico leader della band inglese, Roger Waters, ma non solo; l’album e il film vogliono infatti essere una rappresentazione del disagio provato dalla band verso il successo che li ha portati ad un rapporto con i fans diverso dall’inizio della loro carriera. È un successo che, lamenta Waters, non dipende più dalla qualità del lavoro degli artisti, ma esclusivamente dalla loro fama.
Non è un caso che il nome del protagonista, Pink, sia un esplicito richiamo al nome della band; è la trasposizione del disagio provato dal gruppo nei confronti di questo successo. Un disagio che li porta alla volontà di erigere un muro tra loro e il pubblico. Un muro che tuttavia porta all’autoisolamento e quindi alla pazzia. Qui vi è un richiamo al mai dimenticato Syd Barret, che a causa di gravi problemi mentali, fu spinto ad abbandonare la band sul finire degli anni ’60. Nel finale, alla caduta del muro, il protagonista viene messo da parte per lasciar spazio alle relazioni personali, fondamento della vita di tutti noi, e la band ci lascia con un eterno ritorno. Il muro sì è caduto, ma da qualche altra parte ne sta sorgendo un altro.
Riccardo Malarby
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