L’immagine della pioggia, estiva e non, nella poesia dell’infanzia risulta essere spesso cantata dai versi di numerosi poeti. I fenomeni naturali sono protagonisti di numerose filastrocche dedicate ai bambini che attraverso circostanze realistiche o immagini concrete come il mare, le stagioni, l’arcobaleno o il fluire del tempo, veicolano messaggi ben più importanti. Nel nuovo appuntamento della rubrica Letteratura dell’Infanzia, due poesie sulla pioggia estiva; i temporali di fine Agosto che annunciano Settembre, il mese dorato dell’autunno.
La pioggia estiva nella poesia dell’infanzia: Prima dell’arcobaleno di Marino Moretti
I primi versi sulla pioggia estiva nella poesia dell’infanzia appartengono a Marino Moretti; poeta di Cesenatico associato alla corrente letteraria del crepuscolarismo. Tale termine, infatti, compare per la prima volta proprio in una recensione di Poesie scritte col lapis, una raccolta del Moretti datata 1910. Gli influssi della poesia morettiana prendono spunto dalla poetica di Giovanni Pascoli e, precisamente, da due delle raccolte più note del poeta di San Mauro di Romagna: Myracae e Canti di Castelvecchio.
La poetica di Marino Moretti si basa su temi e situazioni legate alle cose perdute; il rimpianto di un Ottocento ormai passato, la solitudine, l’ironia, le periferie, gli ambienti di provincia, i vecchi quartieri, le situazioni e azioni quotidiane, come anche lo scorrere di un tempo indefinito. Una letteratura domestica che narra di stagioni, tempo che scorre, infanzia scolorita. Nella poesia Prima dell’arcobaleno, il poeta dipinge in versi una tipica scena in cui una pioggia estiva improvvisa imperversa nel cielo e per le strade:
Il brontolio si cangia in violento
sibilo e batte alle serrate porte;
voce di rabbia, sibilo di morte:
il vento, il vento, il vento.
Una luce sinistra, un guizzo, un vampo
ecco passa nel cielo rapidamente
aereo guizzo come di serpente:
il lampo, il lampo, il lampo.
Un tumulo, un fragore, un urlo, un suono
rauco, sfuggente, rotolante, cupo
voce d’antro di selva, di dirupo:
il tuono, il tuono, il tuono.
Il tuono, il lampo, il vento
e un’idea di sereno
tanto cruccio e sgomento
fino all’arcobaleno.
Un rumore appena sommesso, quasi come un bubbolare lontano, diviene d’un tratto un suono sibillino e greve; il suono del vento che ora sbatte violentemente le porte è ora sinistro, rabbioso, quasi come un simbolo presago di morte e sventura. Una luce infausta, come un guizzo dal sapore avverso, squarcia il cielo rapidamente; lo sfolgorìo repentino del lampo fa sì che il bagliore assomigli al movimento di un serpente. Al bagliore del lampo segue un tonfo; un tumulto rauco, un fragore, un boato cupo si rompe quasi in mille pezzi, un rombo verso il cielo: è il tuono.
I tre elementi protagonisti della poesia sono i responsabili dello sgomento che creano i temporali bruschi; un timore tuttavia infondato, preoccupazioni prive di fondamento. Il borbottio dell’acquazzone si disperde nello stesso cruccio che ha alimentato, alla comparsa dell’arcobaleno.
Temporale Estivo di Federigo Tozzi
Un altro componimento sulla pioggia estiva nella poesia dell’infanzia è Temporale Estivo di Federigo Tozzi. Autore importantissimo del ‘900, per molto tempo non considerato nel panorama della letteratura italiana, la critica si accorse dell’autore senese solo negli anni ’60. I temi principali della sua produzione virano tutti verso un realismo che utilizza per esprimere personali esperienze; tutto ruota intorno all’inettitudine e all’inadeguatezza dell’individuo in generale, costretto a sorreggere le richieste che la vita presenta. Il realismo – simbolico di Tozzi si concentra nella sua città, Siena; palcoscenico emotivo della sua letteratura, un microcosmo autobiografico in cui incastona la sua poetica. In Temporale Estivo Tozzi descrive la semplicità di un acquazzone improvviso: i tonfi dei tuoni, gli scrosci della pioggia, e l’ambiente circostante che muta insieme al fenomeno naturale:
Le nuvole grigie e nere si urtano,
si pigiano spinte dal vento, nascondono
il sole, oscurano il cielo….
Ci son ancora, qua e là, lembi d’azzurro,
ma vanno facendosi sempre più piccoli,
sempre più radi.
Ecco un lampo: guizza, abbaglia,
sembra incendi il cielo.
Poi scoppia il tuono.
Un tonfo forte, un brontolio lungo.
I passeri si rifugiano
sotto i tegoli, le rondini volano basse,
senza stridi.
Cadono le prime gocce d’acqua, si fanno
fitte, sembrano grossi aghi lucenti.
Poi la pioggia scroscia impetuosa.
Il vento impetuoso spinge le nuvole: i cumuli, ora neri e ora grigi, si rincorrono fra loro oscurando il sole. L’etere fa scorgere ai suoi spettatori minuscoli ritagli di azzurro che, piano piano, si ripiegano su loro stessi diventando sempre più piccoli e meno visibili. Il bagliore di un lampo squarcia il cielo, un guizzo luminescente che sembra incendiarlo. Subito dopo, il frastuono roco e cupo del tuono. Passeri e rondini corrono a rifugiarsi, senza cinguettii o stridi. Arriva la pioggia, le gocce che fitte increspano l’aria, simili a enormi aghi che cadendo sulla terra brillano nell’aria. Ecco, alla fine, l’arrivo del tumulto: lo scroscio della pioggia che si riversa, ovunque, impetuosa.
Stella Grillo
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