Kalokagathìa: termine appartenente all’antica Grecia, successivamente, diventato espressione della cultura greca del tempo. Nel nuovo appuntamento della rubrica Parole dal Mondo, l’analisi dell’espressione indicante la perfezione fisica e morale dell’uomo.
Kalokagathìa: da una crasi, la fusione fra etica ed estetica
Il termine indica l’adattamento di un’espressione greca: καλός κἀγαθός, – kalòs kagathòs – crasi di καλὸς καὶ ἀγαθός, – kalòs kai agathòs – , letteralmente, reso con ”bello e buono”. Un concetto simbolo dell’antica Grecia, poiché riferito al possedimento generale di ogni virtù. Risulta fondamentale sottolineare l’importanza dell’aggettivo καλός per il popolo ellenico: non è solo il bello nel suo aspetto visivo, sensibile o superficiale. E’ una bellezza diversa quella intesa dai greci, in quanto, si connette direttamente all’etica della persona e al suo comportamento morale: il buono sottolineato dall’aggettivo ἀγαθός. Pertanto, nella cultura ellenica del tempo, tale espressione si utilizzò per designare l’ideale di perfezione umana: nella stessa persona, unitamente, dovevano confluire etica ed estetica, estendendo l’influenza dei due valori anche nella produzione artistica. La bellezza nella cultura arcaica si concepiva, quindi, come un valore assoluto donato dagli dèi; frequentemente associato alle imprese di guerra del classico modello di eroe omerico.
Kalokagathia, l’ideale educativo che distingue il sapiente dalla massa
Tuttavia, pare che la parola kalokagathia nasca ad Atene nella seconda metà del V secolo a.C. ad opera dei sofisti. Con la suddetta espressione, questi ultimi, si riferivano non all’aspetto militare, bensì, alla sfera intellettuale nell’attività oratoria impregnata di valori morali di virtù e giustizia. Ne consegue che, la concezione del lemma, esprima una condizione di educazione ideale riferita alla formazione dell’ uomo ”eccellente”. La kalokagathia, per Platone, era la differenza educativa che distingueva l’uomo sapiente dalla massa poco colta:
”Chi si dedica alla ricerca scientifica o a qualche altra intensa attività intellettuale, bisogna che anche al corpo dia il suo movimento, praticando la ginnastica, mentre chi si dedica con cura a plasmare il corpo, bisogna che fornisca in compenso all’anima i suoi movimenti, ricorrendo alla musica e a tutto ciò che riguarda la filosofia, se vuole essere definito, giustamente e a buon diritto, sia bello sia buono”.
Ne deriva che, l’armonia del bello e del buono, rifletta la concezione del termine e, a sua volta, attesti come ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono debba, necessariamente, essere bello. Da qui, la concezione della rappresentazione greca del bene connessa all’azione dell’uomo come la kalokagathia sostiene.
Filosofia e miti
Se ciò che è bello deve essere necessariamente buono, di conseguenza, ciò che è brutto sarà necessariamente cattivo. Il mito di Achille e Memnone incarna esattamente la concezione ellenica del termine: Mnemone, figlio di Titone e di Eos dea dell’Aurora, fu re d’Etiopia. Muore in un duello contro Achille: uno scontro fra semi-dei poiché, anche il pelide eroe è figlio della ninfa dei mari discendente da Oceano: la Nereide Teti. Ma, in mitologia, esistono altri miti per cui non può confermarsi la teoria della kalokagathìa: Paride, ad esempio, personaggio che compare nell’Iliade, uomo vile e codardo da cui parte la guerra di Troia; Narciso, ragazzo dalla beltà eterea ma repellente all’amore, se non verso sé stesso, e ai valori militari.
Per quanto concerne l’aspetto filosofico del termine, come sopracitato, la prima elaborazione è quella platonica. Con Plotino, invece, si arriva alla contemplazione di Dio come fine ultimo dell’esistenza: l’anima non deve cogliere la bellezza sperimentabile dai cinque sensi dove prevalgono le forme. L’idea del Bello può essere colta solo con l’elemento razionale. Il Bene riconosciuto non con l’elemento sensibile è la bellezza in sé, e sebbene i concetti si eguaglino, l’idea stessa del Bene è un aspetto al di sopra della bellezza delle idee.
Stella Grillo