L’amore dei giovani per Rino Gaetano raccontato da Carolina Germini

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Di Redazione Metropolitan

In occasione dell’anniversario della morte di Rino Gaetano, avvenuta il 2 giugno 1981, abbiamo provato a spiegare come mai sia così amato soprattutto dai giovanissimi che, al momento della sua tragica scomparsa, non erano neanche nati. Per farlo abbiamo intervistato Carolina Germini che, insieme a suo padre Pierluigi, è autrice di un libro sull’intramontabile cantautore crotonese: “Raccontami di Rino” pubblicato nel 2021. Non la solita autobiografia, ma la vita di Rino vista attraverso gli occhi di uno dei suoi amici più cari. Un dialogo tra un padre e una figlia che ripercorre tutte le tappe della carriera musicale e non solo di Rino Gaetano, in un confronto tra due generazioni diverse.

Intervista a Carolina Germini, su Rino Gaetano

C’è un affetto enorme da parte dei giovanissimi nei confronti di Rino. Come ti spieghi questo fenomeno?

Sicuramente la giovane età di Rino, il fatto che sia sempre rimasto un ragazzo, e quindi anche nel nostro immaginario rimane tale. C’è una frase bellissima del poeta Menandro: “Muore giovane chi è caro agli dei”. Il fatto che Rino sia stato strappato così presto alla vita ha contribuito a creare questo mito, ma allo stesso tempo ci ha reso a noi come generazione vicina a lui proprio perché ci identifichiamo nell’età. Rino poi mette in luce, un po’ in tutte le sue canzoni, il tema del conflitto in tutte le sue declinazioni. Anche l’amore lo descrive in maniera conflittuale, come un sentimento che ci costringe a fare i conti con noi stessi e con l’altro. Nella canzone “Tu forse non essenzialmente tu”, per me una delle più belle, riconosce l’unicità dell’altro ma poi dover rapportare quell’unicità con la vita che è piena di contraddizioni e imprevisti. Nell’adolescenza poi è il periodo in cui sentiamo di più il conflitto e siamo sensibili alle ingiustizie. Rino è proprio il cantautore delle ingiustizie per eccellenza. 

Pensi che con il passare degli anni sia un fenomeno destinato a ingrandirsi? 

Credo che ci sia anche una fetta di giovani meno appassionata di cantautoresimo che non conosca Rino. Chi coltiverà l’amore per Rino sono le persone che hanno a cuore il genere, non penso che sia un fenomeno di massa così grande. L’interesse aumenterà ma verrà sempre da un certo tipo di persone. 

Sarà forse perché le nuove generazioni sono più propense a cogliere i riferimenti e i significati dei suoi versi, piuttosto che attribuirgli l’etichetta di nonsense? 

Si è vero. Credo che la sua generazione non fosse pronta ad accoglierlo e capirlo. Più che frainteso è stato sottovalutato, e credo che nel farlo ci fosse anche un interesse. In molti, anche in ambito politico, avevano colto che lui fosse uno smascheratore e quindi volevano mettergli il bavaglio come disse lo stesso Rino a Capocotta nel 1979. È stato temuto e messo a tacere sminuendolo, altrimenti avrebbe potuto cantare “Nuntereggae Più” a Sanremo invece di “Gianna”. 

Quando hai pensato per la prima volta di scrivere un libro su Rino? 

Ho avuto quest’idea nel momento in cui ho visto mio padre emozionato dal fatto che la canzone di Rino, “Ma il cielo è sempre più blu”, venisse cantata dai balconi in un momento d’emergenza di quel tipo. Nella solitudine in cui ci trovavamo mio padre si è rimesso in contatto con quell’amicizia. A quel punto ho capito che avevamo del tempo per scavare nella memoria. 

Se tuo padre Pierluigi e Rino non fossero stati amici, pensi che ti saresti appassionata ugualmente alla sua musica? 

È nato da me. Lontanamente ricordavo che era stato amico di mio padre ma in quel momento non mi interessava quell’aspetto, ma piuttosto il modo in cui Rino mi faceva sentire in un periodo difficile come quello dell’adolescenza. 

Giulia Ciriaci

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