Liliana Cavani: il cinema civile della regista attraverso i suoi film denuncia

Foto dell'autore

Di Redazione Metropolitan

Talento artistico figlio delle fughe al cinema in gran segreto, Liliana Cavani è una regista, classe ’33, che ha scandalizzato il panorama audiovisivo italiano del secolo scorso con le sue “disdicevoli” creazioni artistiche. La passione per il cinema è radicata nel suo passato e si lega a doppio filo con quella spinta anticonformista e rivoluzionaria che caratterizzerà la sua carriera.

Tutte le domeniche si recava infatti in sala con la madre per evadere dalla dimensione provinciale del paese. Qui nasce quel “segreto del cinema“, da nascondere agli occhi e le orecchie dei nonni, con cui viveva, e che lo avrebbero trovato inopportuno per una bambina. Quella bambina avrebbe poi fondato un cineclub a Carpi negli anni dell’università, per poi iscriversi al Centro Sperimentale di Roma e non abbandonare più il lavoro nel e per il grande schermo.

Liliana Cavani, l’esordio

Uno dei cardini attorno a cui ruotano la produzione e la poetica di Liliana Cavani è l’aderenza alla contemporaneità. La prova incontrovertibile della sua capacità di cogliere i temi più attuali e scottanti del suo tempo, sta nella ricezione dei suoi lavori da parte delle autorità costituite in materia di prodotti cinematografici e televisivi.

Partendo da uno dei suoi primi lavori, che toccano un personaggio che più volte tornerà ad affrontare nel corso della sua carriera, citiamo “Francesco D’Assisi“, primo dei suoi film prodotti dalla Rai. La pellicola, che anticipava di pochi anni lo spirito del ’68 fu presentato al Festival di Venezia fuori concorso.

Il cinema deve essere civile

Nel ’68 è dietro la macchina da presa per il film “Galileo” per esplorare il rapporto tra potere ecclesiastico e scienza attraverso il noto caso dello scienziato seicentesco. Il film sarà censurato dalla Rai perchè anticlericale e non sarà mai trasmesso.

Sempre sensibile alle istante del suo tempo, l’anno dopo esce con “I cannibali“, espressione massima della contestazione sessantottina ed exemplum del suo ideale di cinema civile che deve osservare la sua missione di trasmettere una memoria.

Il cinema deve essere civile. E avere uno scopo“. Questa rimane ad oggi la visione poetica di una regista calata nel pieno della storia e di cui, già dai primi film della carriera si intuisce la consapevolezza di una responsabilità e la volontà di mettersi a servizio di quella vocazione che Liliana Cavani riconosce nel cinema: quella di essere popolare.

Debora Troiani

Seguici su : Facebook, InstagramMetrò