L’ultimo concerto di Bob Marley

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Di Alessandro Carugini

Oggi ricordiamo Bob Marley, che in questa triste giornata del 1981 ci ha lasciato fisicamente. La sua musica e la sua filosofia sono ancora ben radicate nelle nostre menti e nei nostri cuori. Non è stato solo un cantautore ma anche un attivista giamaicano. Ha contribuito a sviluppare e diffondere in tutto il mondo uno stile di vita generalmente identificato con la musica reggae. Rendendolo popolare al di fuori della Giamaica. In riconoscimento dei suoi meriti, un mese dopo la morte fu insignito del prestigioso Jamaica Order of Merit.

Bob Marley: le origini del mito

Bob Marley
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Bob Marley nacque a Nine Mile, in Giamaica, il 6 febbraio del 1945 da padre britannico, Norval Sinclair Marley e madre giamaicana, Cedella Booker. La loro relazione provocò subito uno scandalo, la famiglia di Marley, scoperta l’unione tra Norval e Cedella, diseredò il figlio. In un primo momento Norval provvedeva al sostentamento economico della moglie e del figlio, sebbene li vedesse raramente, essendo spesso in viaggio. Poi però prese la decisione di abbandonare la sposa, partendo definitivamente per Kingston nel 1944 mentre lei era incinta. I due si sarebbero rivisti solo una volta in occasione della nascita di Bob.

Bob aveva appena 10 anni quando il padre morì a causa di un infarto nel 1955, all’età di 70 anni. Due anni dopo Bob e sua madre si trasferirono a Kingston in cerca di una vita migliore. A 15 anni il giovane Bob lasciò la scuola e iniziò a lavorare come saldatore.

A Kingston, nascevano sentimenti di rivolta verso il sistema da parte dei giovani neri che vivevano ai margini della società. Erano chiamati rude boys, giovani afrocaraibici che manifestano il loro dissenso verso la cultura e l’ordine. Rifiutano il lavoro a favore di una vita fatta di espedienti, compiendo bravate provocatorie e piccoli crimini. Gli ideali anti sistema saranno caratteristici più tardi del movimento Rasta, che non assumerà, però, connotazioni così violente. Marley comunque non si avvicinò a questi giovani e non mancò di tentare di allontanarli dalla violenza e dal loro atteggiamento negativo con i testi di alcune delle sue canzoni più celebri.

L’incontro tra Bob Marley e la musica

Il giovane Bob strinse una grande amicizia con Neville O’Riley Livingston, “Bunny” per gli amici. Bunny lo fece appassionare alla musica e al canto. Lo fece partecipare a canti religiosi e lo introdusse nel mondo degli strumenti a corda. Inoltre gli fece ascoltare i successi del momento attraverso un’emittente di New Orleans.

La formazione musicale di Marley avvenne in questo contesto di povertà. Bunny si arrangiava, non aveva i mezzi per comprare una chitarra né una buona radio così per costruire qualcosa con le sembianze di una chitarra ricavava la cassa di risonanza da una scatola di sardine vuota, un manico di bambù per l’impugnatura e dei fili elettrici come corde. Grazie a un vecchio apparecchio radiofonico, riuscirono ad ascoltare il Rhythm & blues di gruppi come gli Impressions, Ray Charles e anche Elvis Presley. Con questo mix Bob si creava la sua cultura musicale.

Nel loro tempo libero, Bob e Bunny suonavano con Joe Higgs, un cantante locale e devoto Rastafariano, che viene riconosciuto da molti come mentore di Bob. Durante una jam session con Higgs e Livingston, Marley incontrò Peter McIntosh, più tardi conosciuto come Peter Tosh, il quale aveva ambizioni musicali simili. Nel 1961 Bob Marley registrò i suoi primi due singoli, Judge Not e One Cup of Coffee, con il produttore musicale del luogo, Leslie Kong. Questi dischi furono pubblicati dall’etichetta Beverley’s sotto lo pseudonimo di Bobby Martell senza aver alcun riscontro commerciale.

La nascita dei The Wailers

Nel 1964 Bob Marley, Bunny Livingston, Peter Tosh, Junior Braithwaite, Beverley Kelso e Cherry Smith fondano un gruppo chiamato “The Juveniles“; più tardi, il nome fu cambiato in “The Wailing Rudeboys“, quindi in “The Wailing Wailers“. Solo due anni più tardi Braithwaite, Kelso e Smith lasciarono la band, che modificò il nome in quello di “The Wailers“.

Il primo album dei Wailers, Catch a Fire, fu pubblicato su scala mondiale nel 1973, riscuotendo successo. Fu seguito l’anno dopo da Burnin’, che conteneva le canzoni “Get Up, Stand Up” e “I Shot the Sheriff” di cui Eric Clapton produsse una cover, contribuendo ad elevare il profilo internazionale di Bob Marley. I Wailers si sciolsero nel 1974, quando ognuno dei tre componenti fondamentali provò a continuare la propria carriera come solista. Le ragioni dello scioglimento affondano tuttora nel mistero. Qualcuno asserisce che ci fosse disaccordo tra Marley, Tosh e Livingston riguardo alle performance, altri pensano semplicemente che Bunny Wailer e Peter Tosh preferissero a tal punto lavorare da solisti.

Bob Marley suonò assieme ad altri musicisti, tra i quali Carlton “Carly” Barrett alla batteria, Aston “Family Man” Barrett al basso, Al Anderson e Junior Marvin alle chitarre, Alvin “Seeco” Patterson alle percussioni e le coriste “I ThreesJudy Mowatt, Marcia Griffiths e la moglie Rita Anderson sotto il nome di “Bob Marley and The Wailers“. Nel corso di tali session si ebbe anche l’inserimento di altri musicisti nella sezione fiati quali Vin Gordon al trombone e Glen Da Costa al sax. Marley divenne quindi il leader del gruppo, il cantante e chitarrista e l’autore della maggior parte dei testi.

23 Settembre 1980: l’ultimo concerto di Bob Marley

Il 23 settembre 1980 il re del reggae Bob Marley si esibì per l’ultima volta allo Stanley Theatre di Pittsburgh in occasione dell’Uprising Tour, che portò nelle venues l’album Uprising e la sua ultima traccia, il popolarissimo brano Redemption Song.

Uno show che rischiò di saltare fino a poche ore prima del suo inizio. Il giorno precedente il concerto, il re del reggae non si era sentito bene e lo spettacolo poteva essere cancellato. Nel pomeriggio del 23, il promoter incontra Bob il quale ammette di non sentirsi bene e di non essere in grado di esibirsi, ma che lo avrebbe fatto ugualmente sia per la band che per il pubblico. Solo dopo si scoprirà che il dottore di Marley gli aveva comunicato che il tumore era arrivato al cervello e che non c’era più niente da fare.

La notizia sconvolse Bob. Nessuno sapeva niente anche se la band aveva intuito qualcosa, ma mai si sarebbero immaginati quello che da li a poche ore avrebbero saputo. C’è chi racconta che nel soundcheck prima dello show, Bob cantò ininterrottamente per quarantacinque minuti il brano Keep On Moving; altri invece giurano di aver assistito per ben tre ore a I’m Hurting Inside, altri ancora ad una lunghissima Another One Bites The Dust dei Queen.

Il locale si riempì e il concerto prese il via con il solito inizio affidato alle I-Threes. La setlist di quello show propose brani come Natural Mystic, Positive Vibration, War, Zimbabwe, Zion Train, No Woman No Cry, Jammin’, Exodus, Is This Love e diverse altre hit con Get Up Stand Up che fu l’ultimo brano proposto. Prima di lasciare il palco Junior Marvin si rivolse al pubblico con un “ci vediamo ai prossimi show” ma non sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo. Pochi minuti dopo lo scoprì: Bob Marley comunicò a tutti i musicisti e addetti ai lavori che il tour sarebbe stato sospeso e che le successive date sarebbero state cancellate.

A distanza di anni da quel concerto, uscì una registrazione dal titolo “Bob Marley and The Wailer. Live Forever”.

Alessandro Carugini

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