Dormono tra due guanciali i figli del patriarcato. Stretti tra le fasce della società e cullati dalla profonda voce della tradizione che racconta di un mondo che è sempre stato così. La mascolinità tossica è uno di questi prodotti, anch’essa privilegiata quanto più in errore. Esiste la mascolinità tossica e poi esiste la sua messa in pratica nei luoghi di lavoro, pericolosa e brutale allo stesso modo, escludente e dannosa, superba e ingiusta. Cieca e sorda, influisce su comportamenti e salute, spesso senza fare prigionieri.
Quando la mascolinità tossica timbra il cartellino
“Tu sì che sei un vero uomo!”. Ecco quella che è probabilmente la frase più emblematica della mascolinità tossica. Lo scopo è quello di mostrare di rispondere a questo standard, adottando atteggiamenti e stereotipi che caratterizzerebbero il “vero macho“. Un uomo che non piange, che non mette in mostra le proprie debolezze, che prende tutto quello che vuole e reagisce ai “no” con violenza. Riportato al mondo del lavoro, tutto questo si traduce in un vero incubo professionale per le donne e non solo.
Un ambiente tossico, ancor più se a base sessista, può avere conseguenze gravissime per chi vi lavora. La convinzione che le donne non siano alla pari comporta svilimento e oppressione e pone ulteriori bastoni tra le loro ruote. Come se non fossero abbastanza quelli che già ci sono, poi. Non solo esiste il soffitto di cristallo, non solo le donne nei board sono il 30% del totale, non solo i dati sull’occupazione femminile ci dicono che siamo lontani dalla parità, ma, in un ambiente dove regna la mascolinità tossica è sempre più facile ricordarlo.
Netta la linea di confine della segregazione orizzontale, si ordina di accorciare le gonne dei tailleurs. E si fa lo stesso con la dignità professionale di una donna che vuole solo svolgere il proprio lavoro e che chiede di essere riconosciuta per i propri meriti. Non di entrare ogni giorno in un ufficio come mero corpo. E che allora potrebbe essere una donna come un’altra, ché il corpo lo abbiamo tutte. O, per converso, potrebbe tragicamente non essere nessuna e fare quello che in un ambiente simile ci si aspetta faccia: subire.
La soluzione c’è ed è più semplice del previsto
Smetterla. La soluzione, semplice ma efficace, è questa. Smetterla di pensare che non solo esista un ideale di vero uomo e che si debba essere duri, aggressivi o costantemente pronti a dimostrare il proprio potere su concorrenti, dipendenti o colleghi per potersi dire virili. Smetterla di lasciarsi assoggettare: la mascolinità tossica stringe e costringe nelle sue spire, con sempre più forza ogni volta che si abbassa la testa. Che si sceglie, quindi, di fare il gioco di chi porta all’esaurimento, di chi non rispetta, di chi pretende.
Si tratta di un processo lungo perché è sempre stato così, perché gli uomini lo sai come son fatti. Lungo quanto l’intera storia della cultura patriarcale in cui la mascolinità tossica affonda le proprie radici. Non per questo però deve portare a tirarsi indietro. Così nascono i figli sani del patriarcato: nel silenzio delle voci che sono state costrette a tacere.
Sara Rossi