Novembre di Fontanesi, la pittura lirica della stagione malinconica

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Di Alessia Ceci

‘’Novembre’’, capolavoro di Antonio Fontanesi,  è un’opera poco nota, ma è difficile trovarne una più adatta a trasmettere la poesia della stagione delle piogge umide e delle nebbie. Fontanesi lo eseguì nei primi mesi del 1864, lo espose alla Promotrice torinese di quell’anno insieme ad altri due dipinti, Aprile e Altacomba, e si vide infine gratificato grazie all’acquisto di Vittorio Emanuele II per le collezioni di Palazzo Reale a Torino.

Per Fontanesi Novembre è come un paesaggio rurale che si trova ovunque

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Antonio Fontanesi, Novembre (1864; olio su tela, Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea)

Il suo Novembre è una veduta d’un paesaggio rurale in chiaroscuro che trasfigura sentimentalmente il dato naturale, rivestendo la campagna di una coltre di tristezza pensierosa. Quando l’artista stava lavorando al quadro si trovava probabilmente nei pressi di Ginevra, come si evince da una lettera inviata all’amico François-Auguste Ravier dalle sponde del Lemano. Ma quella rappresentata nell’opera è una campagna che potrebbe trovarsi ovunque.

E’ vero infatti che nella lettera all’amico Fontanesi parla d’un “motivo di Tortu”, un villaggio nei pressi di Crémieu, vicino Lione, dove l’artista trascorse uno dei più soddisfacenti soggiorni della sua carriera. Ma è altrettanto vero che nel quadro non ci sono riferimenti definiti e Fontanesi era un gran viaggiatore. A quel tempo aveva già esplorato le pianure dell’Emilia natia, le Alpi svizzere, le campagne del Delfinato, le nebbie dell’Inghilterra, le dolci colline toscane. Sarebbe  bello pensare a questo Novembre come un insieme dei paesaggi che Fontanesi aveva conosciuto fino ad allora, in attesa di nuovi viaggi.

La campagna dell’umida stagione

Seguendo la prospettiva di una campagna imprecisata, al limitare d’un bosco dove gli alberi hanno perso quasi tutte le foglie, siede una contadina, coperta da panni di lana ruvida e da un cappello di paglia. E’  meditativa, con il volto chino e sembra non prestare attenzione a ciò che la circonda. Vicino, un agnello si alza sulle zampe per brucare un arbusto. Un vento leggero muove le fronde e l’agro si veste dei colori terrosi dell’umida stagione. Il cielo azzurro è velato di nubi che rivelano il profilo di colline sul fondo della scena.

Quella contadina non è la penosa spigolatrice campagnola di Millet, fiaccata dal lavoro duro nei campi e non è testimone di una denuncia d’ispirazione realista. Non che la pittura di Fontanesi manchi di un certo grado di realismo, ma qui anche la contadina fa parte del paesaggio, come un dettaglio naturalistico che acuisce la sensazione malinconia che pervade la landa. La donna rappresenta un dettaglio paesaggistico o forse più un tramite del fondamentale dialogo che l’essere umano intesse con la natura, un motivo fondamentale della pittura lirica di Fontanesi.

Tradurre Novembre in uno stato d’animo

La novità risiede nella dimensione sentimentale della pittura lirica, o meglio nella sapienza con la quale il pittore – in anticipo sui tempi – ha saputo tradurre il mese di Novembre in uno stato d’animo pittorico, caro agli artisti del futuro movimento romantico europeo. L’opera sarebbe stata apprezzata molto di più se fosse stata realizzata verso la fine del secolo, al tempo della piena affermazione della poetica simbolista. Non fu infatti risparmiata dalle critiche dei suoi contemporanei: una costante che accompagnò tutta la carriera di Fontanesi, trascorsa spesso in solitudine. I quadri come Novembre portarono i suoi detrattori a rimproverargli d’esser niente di più che uno scadente imitatore di Corot. Critiche superficiali, che si fermavano all’aspetto esteriore dei dipinti, senza scendere nel profondo della sua sensibilità, sicuramente meno contemplativa di quella di Corot ma molto più struggente.

Tuttavia c’è anche chi ha apprezzato questo Novembre lirico, malinconico e abbandonato. E’ il caso di Enrico Thovez, tra i critici più influenti del suo tempo. Rimasto estasiato dal Novembre di Fontanesi, ne aveva lodato la “carezzevole vaporosità ”  grazie alla quale poteva “aspirare a titolo di poeta dell’aria e della luce” più di Lorrain, di Turner, di Constable e di Corot. E se anche Roberto Longhi – di solito sprezzante nei confronti dell’Ottocento italiano – rimase stupito di fronte al “soffio poetico” e al “fraseggiare melanconico”– per usare due espressioni del celebre critico – non c’è alcun dubbio che l’opera sia uscita dalle collezioni del Palazzo Reale con una certa autorità. ‘’Novembre’’ infatti, dal 1978 e dopo vari spostamenti – tra mercato antiquario e collezioni private – è visibile presso Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, dove continua incessantemente ad esercitare sui visitatori il fascino meditativo, poetico e nostalgico dell’autunno.

Alessia Ceci

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