Si sta avvicinando il giorno dell’uscita di “Parthenope” di Paolo Sorrentino dopo le precedenti anteprime e la presentazione al Festival di Cannes. In quest’occasione vi proponiamo di riscoprire quelli che sono stati i primi film che hanno contribuito a lanciare Sorrentino nell’universo del grande cinema
Paolo Sorrentino, la solitudine e L’uomo in più
Tutti conoscono Paolo Sorrentino per i suoi capolavori come “Il divo”, “La grande bellezza” ed “È stata la mano di Dio”. In realtà gli elementi di uno stile cinematografico che ha fatto del regista napoletano uno dei massimi rappresentati del cinema d’autore italiano e non solo li si ritrovano anche nei suoi primi film. La solitudine e l’inquietudine dei personaggi, i risvolti onirici e la trame spesso circolari, le suggestioni visive che spiegano più delle parole e le battute taglienti sono una costante che segna tutti i film del grande maestro sin dagli esordi.
In particolare nella nostra carrellata vogliamo parlare di una pellicola che non tutti ricordano ma che ha contribuito a far conoscere e apprezzare il marchio di fabbrica di Sorrentino. Nel 2001 esce infatti “L’uomo in più”, il primo film di Paolo Sorrentino che ha dato inizio al suo fortunato sodalizio con un grande e multiforme interprete come Toni Servillo.
In questo film i protagonisti sono due e si chiamano entrambi Antonio Pisapia ma uno è un calciatore e l’altro( Servillo) è un cantante neomelodico. Già in questo film si evince quell’attaccamento di Sorrentino per quello che sono le conseguenze del successo e del fallimento. Ne si evince la persistenza di uno straniamento e della solitudine a cui il fallimento e la mancata risalita riduce i due protagonisti condannati al loro destino. È in definitiva questa una pellicola potentemente drammatica sebbene ancora grezza e in cui ancora non si manifesti del tutto il talento visivo del regista ma che già in piccolo germe si nota.
Le conseguenze dell’amore nell’esistenza umana
Nel 2004 Sorrentino presentò a Cannes “Le conseguenze dell’amore”, un piccolo grande capolavoro che segna la svolta per il cinema d’autore italiano. Premiato con cinque David di Donatello tra cui miglior film e miglior regia a Sorrentino, questo lungometraggio si distingue innanzitutto per la sua sceneggiatura solida e ben scritta dallo stesso Sorrentino che dichiarò di essersi ispirato per il suo film a “Jackie Brown” di Quentin Tarantino. Protagonista di questa pellicola, interpretato da un magistrale Toni Servillo , è il commercialista della mafia Titta di Girolamo che vive esiliato in un piccolo hotel in Svizzera in cui conduce un’esistenza piatta e informe cambiata dall’inaspettato arrivo dell’amore. In questo suo secondo lungometraggio Sorrentino gioca con una costruzione visiva simmetrica e forte capace di raccontare, grazie anche un sapiente uso degli spazi, la solitudine , il senso vuoto e l’incertezza in cui vive il protagonista più di mille parole.
L’amico di famiglia e l’umanizzazione
La nostra carrellata si chiude con “L’amico di famiglia” del 2006. Il piu sottovalutato e bistrattato film di Sorrentino è in realtà un complesso affresco da riscoprire. Protagonista di questo lungometraggio è Giacomo Rizzo nei panni di un orribile e terrificante usuraio che si fa chiamare “Cuore d’oro” e che diventa “l’amico” delle famiglia cui presta soldi con interessi spaventosi. Anche in questa pellicola la fa da campione la solitudine e l’emarginazione del protagonista già fortemente dimostrata nella prima sequenza del film in cui l’usuraio si prende cura della vecchia madre in una casa buia e desolata dell’agropontino.
È un esistenza quella del protagonista in cui il regista scava fa a fondo cercando di umanizzare un personaggio odioso e rendere tollerante quell’orrido che caratterizza la sua esistenza sconvolta da un’improbabile amore per la bellissima e sensuale Laura Chiatti. Il tutto sottolineato da una libertà formale e stilistica sconvolgente che ci fa percepire questo film come un complesso e grande noir.
Stefano Delle Cave
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