Londra, 21 Novembre 1975. Nei negozi di dischi esce il quarto album dei Queen: A Night At The Opera. Il lavoro più costoso di quegli anni, pieno di sonorità distanti e contrasti tra loro. Un disco importate, non solo per i Queen, ma per tutto il music business. Un disco che ancora una volta mette in risalto un gruppo illimitato in carisma, fantasia e maestria nell’utilizzare e spingere al limite tutti gli strumenti che hanno a disposizione.
Massima creatività e massima orecchiabilità
L’album A Night At The Opera fu registrato in diversi studi in un periodo di quattro mesi nel 1975. Include materiale molto complesso dal punto di vista della produzione con vasto impiego di sovraincisioni, e che abbraccia un ampio ventaglio di stili musicali. I Queen mescolarono alcuni fra i generi musicali più “pop” di ogni tempo. L’opera, il vaudeville, il music-hall, il musical di Broadway, l’hard-rock dei Who e dei Led Zeppelin, la vena glam di Marc Bolan e David Bowie. Tutto confluisce in questo disco e si fonde magicamente senza soluzione di continuità.
Ciò che rende comunque diverso A night at the opera, rispetto ai suoi precedenti lavori, è la presenza di due elementi: una forte ironia e capacità di parodia da parte dei Queen e uno stile barocco e pomposo che connota la loro musica.
Il titolo dell’album è una citazione dell’omonimo film dei fratelli Marx. Un tributo che esprime a parole l’idea di fondo di questa sorta di concept: una colonna sonora di una serata di intrattenimento “leggero”.
A Night At The Opera brano per brano
A Night at the Opera ricevette recensioni contrastanti dalla stampa musicale, ma generalmente i critici lodarono le raffinate tecniche di produzione e la varietà di stili musicali in esso contenute. Comunque erano tutti d’accordo nel riconoscere questo disco come l’opera che fece definitivamente diventare i Queen delle superstar. L’album è ora considerato il capolavoro dei Queen e uno dei migliori dischi della storia del rock.
A Night At The Opera Lato A
Si parte con Death on two legs in cui Freddie Mercury mette nel testo tutta il suo sarcasmo ed il suo risentimento verso, Norman Sheffield il primo manager della band, il tutto condito in salsa hard-rock. La canzone non fa mai riferimento a lui in maniera diretta, ma dopo aver ascoltato una demo del pezzo ai Trident Studios, Sheffield restò sbalordito dalla sequela di insulti presenti nella canzone. Intentò una causa legale per diffamazione alla band e alla casa discografica, che si risolse in un accordo extragiudiziale che confermò la sua connessione con la canzone. Durante le esecuzioni dal vivo, Mercury introduceva spesso il brano dedicandolo a “un vero gentleman figlio di puttana“.
Dopo un inizio così duro, sia musicalmente che come testo, nessuno si aspetterebbe Lazing on a Sunday Afternoon, pezzo poetico e raffinato scritto da Mercury. Con la sua melodia da operetta ed una esecuzione vocale che ricorda la lirica, questa canzone è circondata da strumenti hard-rock.
I’m In Love With My Car è un rock dai toni epici, dedicato da Roger Taylor alla sua passione per le automobili. Molti si sono lasciati sfuggire la perfida autoironia di questo brano, in cui la voce di Taylor scimmiotta Plant e Daltrey inneggiando all’amore per la propria auto. Quando venne il momento di scegliere il primo singolo estratto dal nuovo album, Taylor era così convinto di questa canzone che costrinse gli altri membri della band a includerla come lato B di Bohemian Rhapsody, contro il parere di Mercury. Questa decisione avrebbe in seguito creato alcune frizioni all’interno del gruppo, perché in virtù del suo status di B-side del singolo di maggior successo della band, la canzone fece guadagnare al batterista una quota uguale in diritti d’autore a quella di Freddie, autore del lato A.
L’aspetto parodistico della musica dei Queen è spesso sfuggito ai vari recensori che li accusarono di autoindulgenza. La ballata You’re My Best Friend, scritta da John Deacon, musicalmente scontata, con una melodia che sembra già sentita, si compie in realtà la parodia della canzone romantica fatta al pianoforte. I coretti del ritornello possono essere visti come una sorta di presa in giro del pop easy-listening.
Come detto, A Night At The Opera, mescola diversi stili e c’è posto anche per il country. ’39 parla di un gruppo di esploratori spaziali che partono per un viaggio della durata di un anno. Al loro ritorno, tuttavia, si rendono conto che invece sono trascorsi un centinaio d’anni dalla loro partenza, a causa dell’effetto della dilatazione temporale ipotizzata nella teoria della relatività di Einstein. Tutti i loro cari sono ormai morti. May canta la canzone nell’album, con cori di sottofondo da parte di Mercury e Taylor.
Dopo questo pezzo tranquillo, il chitarrista riccioluto ci riporta ad un amore più moderno e ad una musica più consona ai Queen: il rock duro! Sweet Lady un pezzo veloce con molta distorsione composto nell’inusuale tempo in 3/4. Roger Taylor disse una volta che proprio a causa della sua metrica atipica era per lui la canzone più difficile da suonare dal vivo durante i concerti.
Il primo lato del disco si chiude con Seaside Rendez-vous è l’ideale proseguimento delle atmosfere ottocentesche di Lazing On A Sunday Afternoon. La canzone ci porta in Francia, un vero e proprio pezzo di cabaret, con tanto di campanelli e assolo di kazoo.
A Night At The Opera Lato B
Il lato B inizia con The Prophet’s Song, canzone composta da Brian May. Possiamo definirla una mini-suite. Nel mezzo del brano è presente una complessa parte vocale cantata da Mercury, in cui la sua voce viene sovraincisa quattro volte in modo non sincronico. May raccontò che l’idea per la canzone gli era venuta da un sogno apocalittico sul diluvio universale che aveva fatto mentre era ricoverato in ospedale durante le sessioni di registrazione dell’album Sheer Heart Attack. Il brano è una composizione pesante e cupa in stile rock progressivo. Con i suoi oltre otto minuti di durata, è la più lunga canzone in studio dei Queen.
Dopo l’apocalisse, arriva l’amore: Love of my Life. Pezzo romantico e quasi morboso, il testo interpretato dalla limpida voce di Freddie commuove, coinvolge ed appassiona l’ascoltatore. May vi suona l’arpa, una chitarra acustica Gibson Hummingbird e la sua Red Special.
Terz’ultima canzone del disco è Good Company. Composta e cantata da Brian May, che vi suona un ukulele. L’incisione è notevole per l’elaborata ricostruzione del suono di una orchestrina jazz in stile Dixieland, prodotta per mezzo della sua chitarra e del Deacy Amp. Mercury non fu coinvolto in nessun aspetto della canzone.
Signori e signore sua maestà: Bohemian Rhapsody. Composta da Freddie Mercury, con l’assolo di chitarra scritto da Brian May. Tutte le parti di piano, basso e batteria, come anche l’arrangiamento vocale, furono ideate da Mercury. Gli altri membri del gruppo registrarono le rispettive parti strumentali senza sapere come sarebbero state utilizzate. La celebre sezione operistica inizialmente doveva essere solo un breve interludio atto a collegare la parte lenta con quella hard rock della canzone. Nell’interludio viene nominata una variegata schiera di personaggi classici: Scaramouche, una maschera della commedia dell’arte; l’astronomo Galileo Galilei; Figaro, il barbiere di Siviglia; Belzebù; il Signore delle mosche. Inoltre, in arabo, la parola Bismillah, citata anch’essa nella canzone, proviene dal Corano e significa in nome di Dio.
Due volte più lunga di un singolo standard dell’epoca e con molte recensioni contrastanti, la canzone divenne immensamente popolare, raggiungendo la vetta delle classifiche di varie nazioni.
Questa serata all’opera si conclude con una trasposizione per chitarra elettrica dell’inno nazionale inglese: God Save The Queen. Brian May dichiarò di intendere l’esibizione come una sorta di omaggio alla versione di The Star-Spangled Banner suonata da Jimi Hendrix al Festival di Woodstock.
Alessandro Carugini
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