Versatile, visionario, originale; in due parole, Ridley Scott. Il regista britannico, da domani nelle sale con Il Gladiatore II, sequel del celebre lungometraggio del 2000, è noto per la capacità di catapultare lo spettatore in universi paralleli o versioni alternative della nostra realtà, nelle quali ritrovare elementi del nostro vissuto che vadano oltre le differenze visibili.

Le ambientazioni, sempre diverse, sempre elemento vivo e fondamentale allo sviluppo della trama, sono probabilmente il vero punto di forza dei suoi film. I personaggi da lui creati si muovono in contesti diversi eppure simili, ritrovandosi in situazioni in apparenza agli antipodi, eppure, per certi versi, analoghe. Che si tratti della Roma imperiale o degli Stati Uniti del futuro, poco importa. L’essere umano narrato da Scott lotta e si fa strada tra le avversità, per salvare la sua specie, i suoi casi o, semplicemente, se stesso da un mondo ostile, che tenta di fagocitarlo, senza mai riuscirci davvero.

Alien: la lotta tra il bene e il male secondo Ridley Scott

ridley scott
L’astronave Nostromo, in cui è ambientato il cult movie di Ridley Scott “Alien”

Impossibile non partire dalla pellicola che, in un certo senso, ha dato inizio alla carriera di Ridley Scott. Nonostante la sua opera prima, I duellanti, l’ottima accoglienza della critica, è Alien a consacrarlo come regista. Capostipite del fortunato media franchise, il capolavoro di fantascienza del 1979 è uno dei lavori più complessi e completi della sua carriera. La gigantesca astronave Nostromo, con il suo carico di minerali da portare sulla Terra, scopre a sue spese che, contrariamente alla convinzione comune, l’universo non è appannaggio esclusivo dell’uomo. Altre creature, più forti e subdole, s’impossessano del mezzo di trasporto e del corpo dei membri dell’equipaggio.

È un archetipo horror che s’insinua nella psiche e costringe il personaggio, ma anche lo spettatore, a dubitare, a non saper riconoscere il bene dal male, l’alieno dalla persona. La paura di non essere più padroni di noi stessi, della nostra volontà e delle nostre scelte, il timore di essere abitati da un organismo estraneo, lo scontro con l’ignoto, l’oscuro. E poi ancora le disparità sociali, anche all’interno della navicella spaziale, i ruoli che (finalmente) si ribaltano, con la donna che non è relegata al ruolo di damigella in difficoltà, ma diventa eroina. Ripley (Sigourney Weaver) si salva da sola e salva anche gli altri, non si lascia sopraffare da una potenza mostruosa e gioca d’astuzia, in una guerra dei mondi che, nonostante tutto, si combatte sul piano umano.

Il gladiatore, scontro eterno tra gli ultimi e i privilegiati

In attesa di scoprire se Il Gladiatore II reggerà il confronto con il suo predecessore, o se la performance di Paul Mescal farà rimpiangere Russell Crowe, l’idea d’immergersi nuovamente nell’antica Roma tracciata da Scott, fatta di sangue, violenza e valori, è una bella botta di adrenalina per gli appassionati del genere. Il peplum moderno del regista, che ha visto splendere non solo l’attore neozelandese, ma anche un perfidamente impeccabile Joaquin Phoenix nei panni di Commodo, è una pietra miliare del cinema degli ultimi decenni, un kolossal che va oltre gli scontri e le scene di battaglia.

Il Gladiatore parla dei tempi che furono, ma anche di quelli che sono; non c’è poi questo gran divario tra l’Urbe, con i suoi vizi e le sue virtù, e i giorni nostri. Gli ultimi, spesso, restano ultimi, e muoiono come tali. I “primi”, invece, spadroneggiano e dimenticano il valore della misericordia, dei legami umani, della giustizia. Uno scontro inevitabile, quello tra vincitori e vinti, in cui le carte in tavola possono essere ribaltate da un momento all’altro. Un conflitto in cui l’onore, seppur messo a dura prova, indica la strada da seguire, impervia, ma giusta.

Blade Runner: Ridley Scott mette in dubbio la parola “umanità”

Cos’è, in fondo, l’umanità? Una parola apparentemente chiara, ma dalle sfaccettature infinite e complesse. Ridley Scott fa crollare ogni certezza attraverso Blade Runner, cult movie sci-fi ispirato al romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick. Il regista ci conduce nella Los Angeles del 2019, un futuro ormai passato. La metropoli è popolata da uomini e donne alienati e disincantati, e da replicanti, creati per svolgere i compiti più difficili. Una società distopica e cristallizzata, fino al bug nel sistema, che cambia tutto. Anche gli androidi, in qualche modo, hanno sviluppato una coscienza.È la scintilla di una rivolta, che degenera in una vera lotta, senza esclusione di colpi, in cui si fa fatica a capire chi sia buono e chi sia cattivo, dove la legge debba interrompersi per lasciar spazio all’empatia.

Può un robot considerarsi una macchina, anche quando mostra delle emozioni? Può la specie umana considerarsi tale, quando arriva a voler eliminare delle creature con un’anima? Blade Runner s’interroga e ci interroga circa l’eugenetica, la clonazione e l’ordine morale delle cose. I replicanti sono capaci di provare compassione, mentre l’uomo, spesso, no. Ogni prospettiva è ribaltata, ogni certezza scricchiola sotto il peso di ciò che vediamo e viviamo. Era un mondo remoto e asettico, quello immaginato nel 1982 dagli sceneggiatori e da Scott. Lo era ancora di più quando Dick scrisse il suo libro. Ora che, però, il 2019 è passato da un po’, non si può fare a meno di pensare che, almeno in alcuni casi, quello strano concetto chiamato “umanità” non sia più così scontato.

Federica Checchia

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