Stasera in tv “L’uomo che vide l’infinito”, i rischi del biopic di un genio

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Di Redazione Metropolitan

La regina degli scacchi, serie evento del 2020, ci ha raccontato la vita e il successo di una donna brillante che non è mai esistita. I biopic sui “geni” (siano essi scacchisti, fisici, artisti), ci ispirano e ci confortano, e forse per questo ci piacciono tanto, al punto da dover spesso creare personaggi ad hoc, funzionali cioè alla mera celebrazione del genio. L’uomo che vide l’infinito non è però tra questi. Il film con Dev Patel e Jeremy Irons si ispira infatti alla vita dell’illustre matematico indiano Srinivasa Ramanujan, e prova a imporsi nella lunga carrellata di racconti biografici degli ultimi anni.

"L'uomo che vide l'infinito" - Photo Credits: Taxidrivers
Jeremy Irons e Dev Patel ne L’uomo che vide l’infinito – Photo Credits: Taxidrivers

La pellicola, uscita nel 2015 e diretta da Matt Brown alla sua prima grande produzione, è girata poi al Trinity Collage di Cambridge. Proprio lì, all’inizio del XX secolo, il prodigio Ramanujan venne chiamato dall’India quando il professore G.H. Hardy comprese che i suoi teoremi nascevano da una mente fuori dal comune. Tra i pregiudizi della sua epoca, e quelli sempre attuali del mondo accademico, il giovane indiano dovette allora tentare di dimostrare quei teoremi, e anche legittimare il suo ingresso nella Royal Society

La candida scienza dell’uomo che vide l’infinito

A Beautiful Mind, La teoria del tutto e il più recente Radioactive su Marie Curie sono solo alcuni dei titoli che ci trasportano in un mondo romanzato fatto di calcoli matematici e scoperte incomprensibili. Come la divulgazione scientifica, questi film devono allora orientarci laddove si articola una lingua che spesso noi parliamo molto male. Ma ancor più della divulgazione scientifica, devono catturare, emozionare e far immedesimare lo spettatore. E questo significa riportare i geni in una realtà fatta di paure e gioie umane, ma anche, che lo si neghi o no, banalizzare le loro scoperte.

Il lavoro con Dev Patel e Jeremy Irons, barricandosi dietro un certo cinismo, riesce però forse a scamparla. E non solo per la correttezza della matematica trasposta e per la bravura dei suoi interpreti. Ramanujan pensava teoremi nutriti di religione e spiritualità. Il suo genio non stava nella follia, ma nella forza di una quasi inspiegabile intuizione, proprio ciò che per i barbosi accademici britannici e il loro metodo rappresentava un limite. E la sua vita ci regala quindi l’occasione di goderci una storia in cui la magia della scienza non deve chiedere troppo a chi la racconta, perché ha già in sé quello di cui lo spettatore ha bisogno.

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Manuela Famà