L’industria cinematografica è una tra le più colpite dalla pandemia Covid-19: l’esperienza del grande schermo è infatti una forma di raggruppamento sociale e le attività delle sale sono state sospese, spesso indefinitamente, in tutto il mondo. Non è tutto: alla simile posticipazione e digitalizzazione dei festival, si aggiunge poi la sostanziale sospensione delle stesse produzioni dei film; le quali, già annichilite dalle regole di distanza sociale e limitazione di spostamenti, si pongono inoltre il problema di non conoscere una data di uscita certa. In un mondo di spettatori Netflix, tornerà mai la visione sociale?
Il proverbiale ottimismo di Steven Spielberg ci fa ancora sognare. In una lettera appassionata alla rivista cinematografica Empire, egli ha celebrato, insieme ad altri nomi come Spike Lee, James Cameron e Daniel Craig, la magia e sostanziale irrinunciabilità dell’esperienza cinematografica. Spielberg ha evocato la visione del film Lawrence d’Arabia, momento epifanico in cui il regista, allora diciasettenne, si sarebbe innamorato della settima arte.
La lettera di Steven Spielberg
Nell’attuale crisi sanitaria, dove i cinema sono chiusi o la partecipazione del pubblico è drasticamente calata a causa della pandemia globale, ho ancora speranza se non la certezza che quando sarà sicuro farlo il pubblico tornerà al cinema. Mi sono sempre dedicato alla comunità di chi va al cinema – in inglese si dice movie-going, ovvero lasciare le nostre case per andare al cinema, e il concetto di comunità è la sensazione di compagnia con altre persone che hanno lasciato le loro case e sono sedute accanto a noi. In un cinema, vediamo i film con le persone care, ma anche con estranei. È questa la magia che sperimentiamo quando usciamo di casa e andiamo a vedere un film, uno spettacolo teatrale, un concerto, uno spettacolo comico.
Non sappiamo chi sono tutte le persone sedute intorno a noi, ma quando l’esperienza ci provoca risate o lacrime o ci fa esultare o riflettere, e successivamente le luci si accendono e lasciamo le nostre poltroncine, le persone con cui torniamo nel mondo reale non ci sembrano più perfetti sconosciuti. Siamo diventati una comunità, simili nel cuore e nello spirito, o nell’aver condiviso per un paio d’ore un’esperienza così potente. Quel breve intervallo nel cinema non cancella tutto ciò che ci divide: etnia, classe, credo, genere, politica. Ma il nostro paese e il nostro mondo sembrano meno divisi, meno fratturati, dopo che un gruppo di estranei ha riso, pianto, saltato sulla poltroncina tutti insieme nello stesso momento. L’arte ci chiede di essere consapevoli del particolare e dell’universale, entrambi nello stesso momento. E per questo, di tutte le cose che hanno il potenziale di unirci, nessuna è più potente dell’esperienza comunitaria delle arti.
Sara Livrieri
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