Streghe nel mondo greco e latino: incantesimi e stregoneria in letteratura classica

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Di Stella Grillo

Nel nuovo appuntamento della rubrica ClassicaMente, streghe, magia e incantesimi nel mondo classico; dalla stregoneria citata negli Amores di Ovidio, alla Strega Canidia di Orazio: la prima strega di Roma.

Streghe nell’antica Roma e nel mondo greco: in principio furono le Strigae e le Arpie

Streghe letteratura

Molti autori, sia latini che greci, hanno spesso trattato la figura delle Streghe. Ovidio, negli Amores, cita la strega Dipsas ( Dipsas anus, vecchia) descrivendola come esperta di incantesimi e capace di far rifluire i fiumi alla sorgente. Esperta di erbe, Dipsas possedeva anche il potere di colorare il cielo, la luna e le stelle di rosso sangue. C’è una particolarità: di notte il suo corpo muta, ricoprendosi di piume e, librandosi nell’ombra dell’oscurità, profana le tombe e richiama a sé i morti. La descrizione che fa Ovidio è molto lontana dall’immaginario comune delle Streghe; a tal proposito è necessaria una precisazione. Nell’antica Roma le Strigae erano degli uccelli mitici di cattivo auspicio; si nutrivano di carne umana e sangue, soprattutto se di bambini, e strappavano le interiora con i loro artigli.

Non erano dei cadaveri portati in vita come i vampiri; a differenza di queste creature, la loro forma era il prodotto di una metamorfosi. Strigae deriva, probabilmente, dal verbo stridere in analogia con il verso che quest’ultime emettono durante la notte. In latino poi, strix è il termine con cui si indicano i rapaci notturni e, spesso, traduce anche la parola vampiro. Ovidio le descrive così nei Fasti:

”Sono ingordi uccelli, non quelli che rubavano il cibo dalla bocca di Fineo [le Arpie], ma da essi deriva la loro razza: grossa testa, occhi sbarrati, penne grigiastre, unghie munite di uncino; volano di notte e cercano infanti che non hanno accanto la nutrice, li rapiscono dalle loro culle e ne straziano i corpi; Si dice che coi rostri strappino le viscere dei lattanti, e bevano il loro sangue sino a riempirsi il gozzo. Hanno il nome di Strigi.”

Le Arpie erano delle creature mostruose appartenenti alla mitologia greca con viso di donne e corpo di uccello.  Figlie di Taumante ed Elettra, possiedono delle chiare analogie con la figura delle Strigae, le streghe latine.

Letteratura greca e stregoneria: Mormò citata da Aristofane e le strigae in Petronio e Plinio il vecchio

 Nell’antica Grecia esistevano figura analoghe alle Streghe ( Strigae) conosciute nel mondo latino. Oltre alla famosa Circe di Omero, la figura della strega in Grecia si usava come spauracchio per spaventare i bambini. Un caso famoso è quello di Mormò, una donna di Corinto mutata in mostro dopo aver divorato i propri figli. Nella superstizione greca era una divinità minore; uno spettro femminile che si cibava di lattanti e si divertiva a provocare disordine in case o botteghe.

Il suo nome deriva proprio da mòrmoros, paura, in quanto spaventava i bambini mormorando, in modo sinistro, il proprio nome. Le fonti principali sulla figura di Mormò si hanno grazie ad Aristofane attraverso due sue commedie: Gli Acarnesi e La Pace. Un’altra testimonianza sulla figura delle streghe in letterature latina, si trova in Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, XI, 232: qui la strega è la nutrice che con il latte del suo seno avvelena gli infanti. Nel Satyricon di Petronio, invece, la cornice è quella di un simposio; durante il banchetto di Trimalcione i commensali narrano storie di terrore riportate come reali. Fra queste, in un passo, compare un assalto delle Strigae al corpo di un bambino morto.

Quando avevo ancora i capelli lunghi […] morì il ragazzino del nostro padrone […]. La sua infelice madre lo piangeva vicino a me e ad altri […]. Di colpo cominciarono a stridere le streghe che sembrava di sentire un cane quando insegue una lepre. […] La madre, che abbracciava il corpo del figlio suo, si trovò tra le braccia un manichino di paglia. Non aveva più il cuore né l’intestino né altro. Le streghe avevano rapito già il fanciullo, lasciando al suo posto un bamboccio impagliato.

Ecate e le Lamie, la signora dell’oscurità e le inquietanti rapitrici di bambini nella mitologia greca

Signora delle arti magiche e della stregoneria, divinità psicopompa e appartenente al regno dei morti, Ecate regnava sui demoni, i fantasmi e le anime defunte. Spesso, infatti, era invocata da coloro i quali praticavano necromanzia. Alcuni miti la ritengono madre di Medea, Circe e Scilla. Le sue ancelle erano le Lamie, dette anche Empuse; figure femminili dalle sembianze umane e animali che erano solite rapire i bambini o manifestarsi come fantasmi seduttori adescando giovani uomini, per poi nutrirsi del loro sangue. Il mito le vuole come serve di Ecate, tuttavia alcuni le ritengono sue figlie. In seguito, nel medioevo l’utilizzo del termine si diffuse proprio sinonimo di Strega.

Canidia, la misteriosa Strega romana citata da Orazio nelle Satire

La più famosa e la più misteriosa strega romana, così come la descrive Orazio negli Epodi e nelle Satire, era Canidia. Si è discusso molto sulla sua figura, sia se Orazio la conoscesse o meno. Pare fosse una profumiera di Napoli che si dilettava nelle arti magiche; il suo nome era Gratidia che, il poeta latino, mutò in Canidia. La sua figura compare nella Satira VIII, nel Liber I, dei Sermones. Canidia è insieme a Sàgana e Veia nei giardini di Mecenate sull’Esquilino: sta dilaniando un’agnella con i denti e, nel mentre, invocando i morti. Improvvisamente, un’immagine inverosimile e divertente: le fattucchiere saranno messe in fuga dalla statua del dio Priapo e, sarà proprio la statua a raccontare l’epilogo della vicenda e la beffa finale:

Con questi occhi io ho visto Canidia
con la veste nera e la cinta in vita,
piedi neri, capelli scarmigliati,
aggirarsi insieme a Sàgana e urlare nel vento:
il pallore le rendeva orribili.

Eccole scavare la terra con le unghie,
dilaniare a morsi un’agnella nera:
il sangue fu raccolto in una fossa
per evocare dagli abissi gli spiriti dei Mani.

Negli Epodi, invece, Canidia è un’infanticida. Il V Epodo dal titolo ”Le malìe di Canidia” illustra una scena macabra; la vittima della strega è un fanciullo che la prega di non fargli del male. Tuttavia, lei non si intenerisce e, anzi, lo rapirà e lo torturerà a morte.

Tra i capelli arruffati
ha nodi guizzanti di vipere,
ordina che sulle fiamme della Còlchide
siano arsi cipressi funebri
caprifichi divelti dai sepolcri
uova di rospo viscido
sporche di sangue ,penne di civetta,
erbe che vengono da Iolco o dall’Iberia
patria dei veleni e ossa
strappate dai denti di una cagna
.

Streghe in Lucano: gli incantesimi della maga Eritto nella Pharsalia

Un’altra strix famosa della letteratura latina è Eritto, personaggio creato dal poeta Lucano nella suo poema epico Pharsalia noto anche come De bello civili. Eritto è una maga della Tessaglia nota per essere esperta in necromanzia: poteva comunicare con gli spiriti dei defunti e predire il futuro. Appare nel VI libro quando, Sesto Pompeo, la consulta per la divinazione del futuro. Eritto predice l’esito della battaglia di Farsalo facendo rivere un soldato appena caduto. Lucano descrive, attraverso dettagli macabri e sinistri, la pratica: il corpo gelido, lacerato e sbrindellato del soldato nel quale l’anima non vuole rientrare; e ancora, creature mostruose come Medusa. Nella Pharsalia il soldato-zombie rivela la rovina della città.

Stella Grillo

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