Il 23 Maggio 1992, esattamente 30 anni fa, ci fu uno degli eventi più ricordati nella storia della giustizia italiana: la strage di Capaci. L’evento prese il nome dal luogo in cui si svolse l’attentato, un comune siciliano di undicimila abitanti circa. Una carica esplosiva composta da tritolo, RDX e nitrato di ammonio uccise il noto magistrato antimafia Giovanni Falcone. A morire con lui altre quattro persone: sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta di nome Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Trenta anni fa la strage di Capaci: l’attentato

“Minchia signor tenente/ Che siamo usciti dalla centrale /Ed in costante contatto radio /Abbiamo preso la provinciale”

Dalla canzone “Minchia Signor tenente” di Giorgio Faletti

La morte di Giovanni Falcone era stata decisa a seguito di alcune riunioni avvenute ad Enna di Cosa Nostra, presiedute da Salvatore Riina. Giorno 23 Maggio Domenico Ganci avvisò telefonicamente Ferrante e La Barbera: le macchine che avrebbero preso il magistrato all’aeroporto di Punta Raisi si erano messe in moto. Nel frattempo, nei pressi dello stesso aeroporto, erano appostati già Ferrrante e Biondo. Una volta viste le macchine partire con Falcone, questi avvertirono La Barbera, il quale allora decise di dirigersi in una strada parallela all’autostrada A29; iniziò così a seguire le macchine blindate che trasportavano il magistrato.

Gioè, altro uomo del complotto, era situato su una collina per scorgere dall’alto tutto quello che succedeva. Quando vide le auto blindate telefonò Brusca, nonostante avesse titubato per uno strano rallentamento delle auto di scorta. In quel frangente temporale, infatti, l’autista disse a Falcone (che aveva voluto guidare), di ricordarsi di restituire le chiavi della vettura. Il magistrato senza pensarci due volte estrasse le chiavi, e questo rallentò l’avanzamento del veicolo.

Dopo questo avvenimento Brusca attivò il comando che scatenò lo scoppio: la prima macchina blindata (Croma marrone) si trovò nel cuore dell’esplosione e balzò in un terreno di olivi vicino alla strada uccidendo i tre agenti della scorta; la macchina in cui era Falcone (una Croma bianca) si schiantò contro un muro di asfalto che si era innalzato. Lui e la moglie Francesca finirono contro il parabrezza perché non indossavano le cinture di sicurezza.

La morte

I tre agenti, infine, che viaggiavano nella terza auto (Croma azzurra), erano rimasti feriti ma fortunatamente vivi. Si trattava di Paolo Capuzza, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Subito dopo l’esplosione uscirono dalla loro autovettura e raggiunsero la Croma bianca, aspettandosi l’arrivo di qualche sicario. Falcone e la moglie erano ancora vivi quando vennero estratti fuori, ma in gravi condizioni. Morirono entrambi lo stesso giorno, in ospedale; Falcone alle ore 19:05 tra le braccia di Borsellino, Francesca alle 22 durante un intervento chirurgico.

Giovanni Falcone è stato, senza dubbio, un martire della giustizia. Il suo amore innato per il dovere e la correttezza ne fanno uno degli esempi più meritevoli per le generazioni future. Scegliere di fare la cosa giusta, anche se il prezzo da pagare è la vita, non è solo da temerari ma soprattutto da virtuosi, persone, cioè, incorruttibili ed eticamente nobili.

“Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l’essenza della dignità umana”.

Giovanni Falcone

Giusy Celeste