“Un mercoledì da leoni”: questa sera su Rai Movie il surf racconta l’America

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Di Redazione Metropolitan

La California, il surf, tre amici e il microcosmo in cui le loro esistenze sognano di restare all’infinito. La Storia però irromperà con la sua devastante arroganza nelle vita di ognuno. Feriti e cambiati, Matt (Jean-Michael Vincent), Jack (William Katt) e Leroy (Gary Busey) avranno però l’occasione del loro personalissimo canto del cigno, che è il canto del cigno ideale di un intera generazione americana. Un ultimo, necessario “Mercoledì da leoni” prima che la vita di ognuno prosegua verso nuove e imprevedibili strade.

Poche pellicole nella storia della cinematografia americana sono riuscite a cogliere e a cristallizzare lo zeitgeist di un’intera epoca come “Un mercoledì da leoni”. Storia che diventa poesia che diventa mito. Quattro capitoli, corrispondenti alle migliori onde che abbiano lambito e sferzato le coste della California: 1962, 1965, 1968, 1974.

“Un mercoledì da leoni”: la storia e la Storia

Ai tre protagonisti della vicenda, servirebbe poco altro che quelle onde per sentirsi vivi e realizzati: ragazze, gioiose risse con i rivali jocks, qualche puntata in Messico a riempirsi di birra ed erba. Il surf e le onde che da vocazione, fede laica e ossessione diventa la metafora definitiva di un’esistenza costretta a sfidare la vita, più da giunco che da tronco, cadere, rialzarsi e ributtarsi sulla cresta dell’onda. John Milius, storico sodale di Francis Ford Coppola e a sua volta uomo di frontiera dei grandi generi USA, scrive e mette in scena l’elegia definitiva di una generazione di maschi americani nati giovani e forti che la storia ha forse non irrimediabilmente spezzato, di certo snaturato.

Il sogno di eterno presente di maschi americani fatti di muscoli tirati, leggerezza e voto assoluto alle leggi delle onde, figli di quell’idea tutta americana di virilità amicale libera, consapevole e atossica. Un’idealizzazione impossibile che negli anni ha causato alla pellicola non poche accuse di conservatorismo, costruita com’è sulla semplificazione nel presentare una generazione pura e perfetta cui solo il Vietnam ha saputo togliere l’innocenza.

“Un mercoledì da leoni”: il mito prima della storia

Qui siamo però dalle parti della costruzione del mito, non della narrazione storica, e la fine degli anni 70 ha rappresentato solo l’inizio di una sistematica epicizzazione del proprio passato, cui Milius non è mai stato esente. Ciò non può togliere a un “Mercoledì da leoni” le sue indubbie qualità squisitamente cinematografiche: le riprese nella bocca del leone di onde dove il gesto fisico diventa estetica e poesia, estrema resistenza alle leggi della fisica e della Storia, perfettamente incarnate nella figura di Bear (Sam Melville), il vecchio mentore del surf che prima di chiunque rappresenta l’inevitabile scorrere del tempo e del variare delle regole esistenziali.

Una piccola, grande epopea americana accolta piuttosto freddamente al momento della sua uscita nel 1978: una sua nemmeno così lenta storicizzazione l’ha elevata al livello di cult immortale che resiste ancora oggi. Curioso quindi come la stessa pellicola sembri attrice di quel mito dell’eterno ritorno che aleggia nel “vento caldo chiamato Santana” e che, salutati per sempre Leroy, Matt e Jack, è destinato a soffiare sulle onde di una nuova generazione di intrepidi.

Andrea Avvenengo

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