Nato l’08 ottobre 1881 in provincia di Varese, al confine con la Svizzera. Seguendo le orme del padre, fin da subito imparò il mestiere di imbianchino e verniciatore. Con l’azienda di famiglia, si trasferì per la prima volta a Lione, città francese, nel 1897.
Emigrò in Francia, come molti altri italiani in quel periodo, per poter sopravvivere come un semplice imbianchino con il talento per la decorazione. Venne subito assunto dalla ditta del signor Gobier, e mandato con altri operai al Museo del Louvre, con il compito di pulire quadri.
Il furto della Gioconda
Vincenzo Peruggia divenne famoso per aver trafugato la Gioconda dal Museo del Louvre il 21 agosto 1911. Lavorando già dentro il famoso museo, fu un colpo facile, soprattutto perché, a differenza di oggi, non aveva grandi sistemi di sorveglianza.
Peruggia si nascose in una cameretta buia del Louvre. Alla chiusura, tolse il famoso quadro dalla cornice e poi scappò da una porta sul retro, che aprì con un coltellino. Uscito dal museo senza essere fermato, salì sul primo autobus, e si diresse nella sua stanza affittata, nascondendo il quadro sotto il ripiano di un tavolino.
Il giorno dopo gli impiegati pensarono, in un primo tempo, che il quadro fosse dal fotografo ufficiale, ma poi dovettero informare la polizia, che immediatamente cercò il colpevole del furto. La notizia del ladro si diffuse in men che non si dica, e i giornali francesi si scatenarono in merito alle ipotesi sulla scomparsa del quadro.
Molte persone furono le sospettate, tra cui lo scrittore Guillaume Apollinaire e l’artista Pablo Picasso. Ma dopo aver escluso gran parte dei sospetti, la gendarmeria si concentrò su muratori, decoratori e imbianchini del museo. Tra questi anche Peruggia.
Le motivazioni del furto di Peruggia
La giustificazione per un furto di tale importanza fu di tipo patriottico. Peruggia, infatti, affermò di voler riportare in Italia almeno uno dei capolavori rubati, secondo lui, da Napoleone Bonaparte. In realtà la Gioconda non fece mai parte del bottino di guerra napoleonico, ma fu portata in Francia dallo stesso Leonardo da Vinci.
Questo astio nei confronti del popolo francese, venne incrementato dagli sfottò che subiva tutti i giorni per la sua nazionalità che gli diede il soprannome di “mangia-maccheroni”. Mosso quindi dal senso di vendetta, spostò la Monna Lisa, dal Louvre agli Uffizi di Firenze.
Il ritrovamento del quadro
Dopo aver nascosto il quadro per due anni, Peruggia inizialmente pensò a lucrarci, entrando in contatto con un antiquario londinese, ma non ne concluse nulla. Allora scrisse ad Alfredo Geri, un collezionista fiorentino che stava organizzando una mostra a Firenze.
Si presentò con il direttore della galleria fiorentina, che dopo aver visto il quadro lo prese in custodia per esaminarlo. Era proprio lei, la Monna Lisa di Leonardo Da Vinci. Il giorno seguente però i carabinieri, scoperto l’autore del furto, prelevarono Peruggia direttamente dalla sua stanza d’albergo.
Dal processo alla morte di Peruggia
Il processo si svolse il 5 giugno 1914 nel tribunale di Firenze. Peruggia venne arrestato, processato e condannato a una pena, tutto sommato, abbastanza lieve: un anno e quindici giorni. Tale pena fu ridotta a sette mesi e otto giorni di prigione.
La pressione da parte della stampa e della popolazione italiana fu favorevole alle sorti del Peruggia. Tanto che venne definito un eroe italiano mosso da amore e affetto per la patria, e scarcerato poco tempo dopo.
Tornò in Francia utilizzando un espediente: sui documenti per l’espatrio sostituì Vincenzo con Pietro, suo secondo nome. Si stabilì a Saint-Maur-des-Fossés, periferia di Parigi, dove morì l’8 ottobre 1925, il giorno del suo 44esimo compleanno.
Anche la Gioconda tornò in Francia dopo un lungo periodo di esposizione in Italia. Rimase prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, e infine, alla Galleria Borghese, prima del suo definitivo rientro.
Federica Minicozzi