19 Febbraio 1861, 162 anni fa l’abolizione della servitù della gleba nella Russia dei Kulaki e di poveri contadini. L’abolizione della servitù della gleba in Russia è un processo complesso e stratificato, che inizia nel 1861 ma dura decenni. Il Metropolitan Today di oggi è dedicato a questo avvenimento storico.
Servitù della gleba: cenni storici
Figura giuridica diffusa soprattutto nel Medioevo, il servo della gleba, è uno status attraverso il quale i contadini sono vincolati dai padroni ad un determinato terreno. In lingua latina infatti, la gleba è propriamente “zolla di terra”. Ancor prima del Medioevo, istituzioni sociali simili alla servitù della gleba comparvero nell’antica Roma. Diocleziano per esempio con un provvedimento autoritativo confinò gli uomini dei proprietari dei fondi al terreno che coltivavano. Nel XVI secolo la servitù della gleba si afferma quasi ovunque, ed in alcuni territori, soprattutto nell’area tedesca, molti contadini liberi sono ridotti alla condizione di servi della gleba.
Ecco che si diffonde anche in Russia. Per una parte consistente della storia russa, infatti, a partire dalla metà del XVII secolo e fino all’abolizione della servitù della gleba nel 1861, i contadini erano legati agli appezzamenti di terra. Potevano anche essere acquistati e venduti, e i loro diritti umani fondamentali non erano rispettati. Sulla scia della Rivoluzione francese, però, che proclamava la libertà personale come un diritto inalienabile, si iniziò a parlare di abolizione della servitù, ma il processo fu lungo.
La riforma dello zar Alessandro II
Solamente agli inizi del secolo XIX, con la liberazione dei contadini, cominciò il tramonto della servitù della gleba. La ricerca storica è giunta alla conclusione che la richiesta di abolizione della servitù della gleba non derivava tanto dalla pesantezza degli obblighi imposti ai contadini-servi, quanto piuttosto dal contrasto tra gli ideali illuministici e la concezione di un vincolo personale. In Russia, in particolare, l’abolizione della servitù era ritenuta necessaria anche perché negli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento, specialmente dopo la disastrosa Guerra di Crimea, le rivolte dei contadini erano aumentate di numero. La miccia era già stata accesa.
In Russia, la servitù della gleba cominciò ad affermarsi assai tardi, nel 1601, quando lo zar Boris Godunov limitò la libertà di movimento dei contadini. Già nel 1606, sotto Ivan Isaevič Bolotnikov vi fu una grande rivolta contadina contro la servitù della gleba. Ma fu solamente con Pietro il Grande che, nel 1723, si giunse ad una normativa legale della servitù della gleba che, come spesso accadeva nella legislazione di Pietro il Grande, era basata prevalentemente su modelli occidentali. La situazione dei contadini russi diventa ancora più pesante con Caterina II di Russia, nel tardo XVIII secolo, quando la servitù della gleba viene estesa anche all’Ucraina, dove, sino ad allora, i contadini erano rimasti liberi.
19 Febbraio 1861, la servitù viene abolita
La servitù della gleba è abolita solamente nel 1861, il 19 febbraio. Grazie allo zar riformatore Alessandro II, circa 50 anni più tardi rispetto al resto d’Europa. Spesso questa abolizione non significava maggiore libertà per i contadini, quanto piuttosto una maggiore dipendenza economica, con la perdita, inoltre, della tutela giuridica. Non appena Alessandro II salì al trono manifestò l’intenzione di abolire la servitù della gleba. L’annuncio sortì l’effetto immediato di innescare un vivo dibattito nei circoli intellettuali. Alla proposta di emancipare i contadini senza terra, avanzata dalla nobiltà baltica, Alessandro II rispose con il Rescritto di Nazimov. Documento che apre le porte allo Statuto generale sull’emancipazione, nel quale per i territori sul Baltico è stabilita una soluzione moderata, che respinge però la richiesta di privare i contadini della terra. La nobiltà conservava i diritti di proprietà e i compiti di polizia e di amministrazione locale, ma era tenuta, previo risarcimento, a lasciare ai contadini casa e podere e a consentire loro di lavorare parte della terra.
I contadini ottennero la libertà personale. Per la sussistenza, furono loro assegnati piccoli appezzamenti di terra (circa 3,5 ettari) che lo Stato acquisì dai latifondisti. Questi piccoli appezzamenti, tuttavia, non furono dati ai contadini dallo Stato come proprietà, ma in affitto con un interesse annuo del 5,6%. E gli ex servi non potevano lasciare o vendere queste terre per ben 49 anni. I proprietari terrieri ovviamente si tennero le terre migliori, lasciando ai contadini terreni sterili o paludosi. La libertà per i contadini si concretizzò solo nel loro autogoverno comunale. Sotto tutti gli altri aspetti, la loro vita rimase invariata, se non peggiorò.
Ilaria Festa
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