Canto XXXIII, il discorso del conte Ugolino e i traditori degli ospiti

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Di Redazione Metropolitan

Con il Dantedì di oggi siamo finalmente giunti al Canto XXXIII, che riguarda ancora il IX Cerchio dell’Inferno. In particolare, Dante e Virgilio continuano ad attraversarne la seconda zona, l’Antenora, giungendo poi alla terza, la Tolomea. In entrambe le zone sono puniti i traditori. Già da questo momento, Dante sente, potentissimo, il vento prodotto dalle ali di Lucifero.

I peccatori, pena e contrappasso: il conte Ugolino

E’ il 9 aprile 1300, tardo pomeriggio. i due viaggiatori si trovano al fondo della cavità infernale; la cavità è una palude di ghiaccio formata dall’acqua del Cocito, dove sono immerse le anime in posizioni diverse a seconda della tipologia della colpa. In particolare le zone Antenora e Tolomea ospitano i traditori della patria e degli ospiti. Le anime sono immerse nel ghiaccio: nella Antenora sono conficcate fino al collo, con la testa rivolta all’ingiù; nella Tolomea sono immerse supine con il volto all’insù. Come nella vita, infatti, tramarono freddamente il tradimento raggelando il loro animo e privandolo del calore della carità, così sono immersi nel ghiaccio del Cocito.

Ancora nella Antenora, Dante incontra il conte Ugolino della Gherardesca, nato da famiglia ghibellina intorno al 1210. Il conte, comparso già nel canto precedente, è impegnato ad addentare il cranio del compagno di pena, che altri non è che il suo avversario politico di quando era ancora in vita, l’arcivescovo Ruggieri. Comincia, così, la narrazione di come il conte Ugolino fu tradito dallo stesso, che lo incarcerò nella torre pisana della Muda, insieme a figli e nipoti: tutti sarebbero morti di fame, intrappolati lì dentro.

Quivi morì; e come tu mi vedi, 
vid’io cascar li tre ad uno ad uno 
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,                       

già cieco, a brancolar sovra ciascuno, 
e due dì li chiamai, poi che fur morti. 
Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno.

L’invettiva di Dante contro Pisa nel Canto XXXIII

Canto XXXIII, l'incontro con il conte Ugolino e l'arcivescovo Ruggieri. PhotoCredit: Culturaincircolo.
Canto XXXIII, l’incontro con il conte Ugolino e l’arcivescovo Ruggieri. PhotoCredit: Culturaincircolo.

A questo punto Dante formula una dura invettiva contro Pisa; auspica che le isole tirreniche della Capraia e della Gorgona si muovano nel mare fino a chiudere la foce dell’Arno, così da causare la fine della città e dei suoi cittadini. Pisa, infatti, chiamata la novella Tebe, è colpevole non tanto della morte di Ugolino, quanto di quella delle giovani vittime innocenti.

Canto XXXIII: la Tolomea e l’incontro con Alberigo

Arrivati nella zona Tolomea, Dante e Virgilio incontrano i traditori degli ospiti, i cui occhi sono coperti dalle lacrime ghiacciate. Un dannato, in particolare, chiede di essere liberato dalla tortura e Dante lo asseconda, chiedendo in cambio indicazioni sulla sua identità. E’ il frate Alberigo, che Dante crede sia ancora vivo. Infatti, il frate spiega che le anime di coloro che sono colpevoli di tradimento contro gli ospiti precipitano nell’Inferno nel momento in cui hanno compiuto l’azione; allo stesso tempo un diavolo si impossessa del loro corpo sulla Terra.

Una volta terminato il colloquio con il frate peccatore, che il poeta fiorentino non libera dalla pena, ancora Dante pronuncia un’ulteriore invettiva. Stavolta contro i genovesi, uomini pieni di ogni vizio.

L’inganno di Dante

Dante e Virgilio tra le acque del Cogito. PhotoCredit: divinacommedia.
Dante e Virgilio tra le acque del Cogito. PhotoCredit: divinacommedia.

Interessante è l’inganno con cui Dante trae informazioni dal frate Alberigo. Il gesto del poeta, che promette di liberare gli occhi del dannato dal ghiaccio con un giuramento ambiguo, è un evidente contro-inganno verso l’ingannatore Alberigo. Si tratta di un contrappasso per analogia perché Dante tradisce chi merita di essere tradito. L’azione di Dante è un atto di giustizia: essere scortese con chi ha perduto ogni residuo di umanità significa riaffermare la dignità dell’essere umano.

Martina Pipitone