“Corleone”: Un doloroso, eterno pezzo d’Italia questa sera in TV

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Di Redazione Metropolitan

Vito Gargano (Giuliano Gemma) e Michele Labruzzo (Michele Placido) sono amici da sempre, ma la vita nella Corleone degli anni ’50 è durissima e non ammette sfumature di grigio.

Così se Michele è sempre più coinvolto nelle rivendicazioni politiche del sottoproletariato contadino della zona, Vito è affascinato dal potere e dalla ricchezza del possidente terriero, il Barone Miceli. E dal boss mafioso di cui è rappresentazione politica, Don Giusto Provenzano. La scalata di Vito nelle gerarchie mafiose non finisce nemmeno quando questi su ordine del Don elimina l’amico Michele, scomodo leader delle battaglie sindacali, e sposa la sua ex fidanzata Rosa (Claudia Cardinale).

“Corleone”: “I padroni si distruggono con altri padroni”

Ormai irrimediabilmente attratto da quel lato oscuro, Vito è abbastanza forte sul piano politico e militare da potersi permettere di eliminare il suo stesso boss. Nuovo, potentissimo boss del palermitano, inizia a pestare qualche piede di troppo negli ambienti romani che contano. A quel punto, la rappresaglia dello Stato sarà spietata, e la ciclicità della storia puntuale… Nel 1978 Pasquale Squitieri è arrivato a un momento particolare della sua carriera. Dopo una serie di interessanti, specifiche pellicole sulla questione mafiosa (“I guappi”,“Il prefetto di ferro”) decide di allargare l’obiettivo della propria narrativa e raccontare la sua “grande storia italiana”. Una drammatizzazione della più emblematica storia mafiosa, quella relativa al paese di Corleone.

Un luogo che è anche giocoforza un’idea. La sua , molto ambiziosa, è quella di raccontare l’Italia attraverso una delle sue, tante simboliche vicende politico-sociali. Del filo rosso che dalle battaglie per la terra dei contadini siciliani arriva sin dentro alle stanze del potere istituzionale.  Lo fa affidandosi all’adattamento di un racconto lungo di Orazio Barrese. E ai nomi forti su cui ha costruito la propria cinematografia: Giuliano Gemma, Claudia Cardinale, Stefano Satta Flores. Quasi due ore di pellicola che raccontano l’intera parabola esistenziale di un uomo diventato uomo d’onore. E poi uomo di potere, poi uomo di troppo, in quella immutabile dinamica sociale che sottende ai delicati equilibri di potere e al suo ciclico ricambio.

Claudia e Giuliano

Uomo abbastanza lucido da capire che nell’immediato dopoguerra gli affari di Cosa Nostra non possano più limitarsi agli spiccioli delle questioni agrarie. Il Vito di un Giuliano Gemma perfettamente nel ruolo introduce nel sistema la logica finanziaria del profitto puro, della speculazione, del mattone, del rapporto diretto con l’altro potere, quello legittimo. Ma non è altrettanto lucido una volta raggiunta quella vetta da cui non si può fare altro che cadere. Tanto, tantissimo materiale da strizzare in una pellicola comunque lunga oltre la media. In questo senso la sceneggiatura arranca, sembra sempre inseguire la quantità di eventi che sente il dovere di raccontare. Riducendo al minimo, soprattutto nella seconda parte quando da Corleone ci si muove, gli episodi di contorno e concentrandosi sull’essenzialità delle scene fondamentali per il progresso della vicenda.

La stessa Rosa di Claudia Cardinale, personaggio interessante per la sua complessa posizione all’interno della vicenda, viene risolta ad elemento di cornice per momenti di umanità criminale che tendono pericolosamente verso il  melodramma puro. Troppa ambizione per il ridottissimo budget a disposizione, ma lo spirito, l’aspirazione e il movente sono di quelli giusti, inevitabilmente apprezzabili.

Andrea Avvenengo Dalberto