Elon Musk ha davvero distrutto Twitter per la libertà di espressione?

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Di Giorgia Bonamoneta

La libertà di espressione in mano a una persona? Elon Musk con l’acquisizione di Twitter ha fatto un passo verso il possesso della libertà di espressione. Lo ha spiegato proprio il miliardario durante l’acquisizione: “Il motivo per cui ho acquistato Twitter è perché è importante per il futuro della civiltà avere una piazza digitale comune, dove un’ampia gamma di punti di vista può essere discussa in modo sano, senza ricorrere alla violenza“.

L’idea di Musk è quella di non polarizzare i social e valorizzare l’informazione che arriva direttamente dalle persone. Si tratta di un concetto, quello del giornalismo partecipativo (citizen journalism) che pecca in un aspetto: la mancanza di mediazione. Esattamente quello che accade sui social, dove fake news, disinformazione e informazione viaggiano sulla stessa linea. Senza contare come l’algoritmo premi notizie sensazionaliste, spesso se non false almeno mal interpretate, rispetto a informazioni verificate.

È in nome della libertà di espressione che non Musk ha allentato le regole di moderazione dei contenuti su Twitter. Questa apertura, oltre al licenziamento/dimissioni di massa degli addetti alla sicurezza, ha riempito Twitter di spam e pornografia. Più che un esempio di “libertà di espressione” lo limitano. Il caso delle proteste in Cina è emblematico: lo spam ha oscurato la divulgazione di video e messaggi dei manifestanti.

Il nuovo Twitter 2.0 di Elon Musk: via il vecchio

L’arrivo di Elon Musk in Twitter, dopo mesi di trattative, ha avuto l’effetto di un terremoto. A suon di #Twitterdown e #RIPTwitter sono proseguite per giorni dimissioni e licenziamenti. Al suo arrivo in Twitter Musk ha licenziato manager e oltre 3.000 dipendenti. In seguito alla richiesta di “lavorare duramente” in molti altri hanno deciso di dimettersi. 

In totale l’azienda dava lavoro a 7.500 dipendenti e Musk ne ha licenziati oltre la metà, perdendone altre centinaia in seguito a dichiarazioni considerate fuori luogo. L’imprenditore è arrivato a licenziare ingegneri della sicurezza e moltissimi collaboratori esterni. In questo nuovo sistema Twitter2.0 ha fin da subito presentato problemi di sicurezza, aprendosi a invasioni di bot e spam aggressivo. L’opposto di quello che aveva promesso Elon Musk.

Negli scorsi giorni l’imprenditore ha fatto un passo indietro, non solo sullo smartworking, ma anche su alcuni licenziamenti chiedendo il rientro nell’azienda. Chiusa la fase di licenziamenti, la società ha affermato di essere alla ricerca di ingegneri e addetti alle vendite, ma al momento in rete non ci sono annunci di lavoro. Durante la riunione a San Francisco Musk ha ammesso che la riorganizzazione dell’azienda ha comportato molti errori, ma che la situazione si stabilirà nel tempo.

Elon Musk, presidente di Twitter

Obiettivo libertà di espressione: come l’idea di Musk è già fallita in partenza

Tutto è merce, anche un’opinione. Twitter, social di scambio di idee per eccellenza, ha fatto dell’opinione il proprio business. La libertà di espressione non è mai venuta meno, se non nel caso eclatante di Donald Trump. L’ex presidente è stato riabilitato su Twitter proprio in seguito all’acquisto di Elon Musk e a un sondaggio nel quale, per un piccolo scarto di voti, ha ottenuto la benedizione del popolo di Twitter.

Sono però i grandi eventi internazionali che dimostrano quanto l’operazione di Musk di rendere Twitter sede della libertà di espressione non abbia ancora funzionato. Alla luce delle proteste in Cina, per esempio, la libera informazione prodotta attraverso il giornalismo partecipato e attivo è ostacolata. Sotto il termine di ricerca “Pechino” ci sono infatti tutta una serie di messaggi spam, tra pornografia, servizi di escort e giochi d’azzardo.

Secondo alcuni esperti il 70% degli account che hanno interagito con #Pechino sono bot. Il governo cinese non è nuovo a tecniche di censura di questo genere ed è difficile credere che fosse questa l’idea di libertà di espressione che aveva in mente Elon Musk. Se non fosse stato per servizi come i VPN, il cui numero di iscritti è schizzato alle stelle, difficilmente i manifestanti avrebbero potuto pubblicare sui social quanto stava accadendo.

Chi ha contattato Twitter per delle risposte in merito a quanto sta accadendo si è sentito rispondere che l’ufficio stampa non esiste più per via dei licenziamenti. 

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Articolo di Giorgia Bonamoneta.