Se esiste un artista che più degli altri viene associato all’idea di Barocco a Roma, quello è senza dubbio Gian Lorenzo Bernini. Una lunga carriera, quasi totalmente passata al servizio del Vaticano, segna la fama di un genio poliedrico del Seicento italiano. Lo storico dell’arte Filippo Baldinucci conia nel 1682 l’espressione “bel composto” quando parla della capacità dell’artista di fondere pittura, scultura e architettura. Ed è proprio grazie a questa fusione e alla sua inarrivabile attività che Gian Lorenzo Bernini sconvolge il volto di Roma e l’intero panorama artistico del suo tempo.
Quando Gian Lorenzo Bernini arriva per la prima volta a Roma è solo un bambino. E’ il 1605 e viene da Napoli, la sua città natale, con il padre Pietro, anche lui scultore e architetto affermato. La sua attività inizia con il pontificato di Papa Alessando VII Chigi che, il giorno stesso della sua nomina, convoca Bernini per chiederne la collaborazione. Il sodalizio con la Chiesa, durerà praticamente per tutta la sua lunga carriera. L’artista infatti riesce non solo a rendere visivamente Roma il luogo consono per ospitare la sede della cristianità , ma si rende anche un suo vero e proprio portavoce ideologico.
Grazie all’interesse urbanistico e artistico di Alessandro VII, Bernini riesce a consacrare definitivamente Roma allo stile Barocco. Dalla fine degli anni ‘20, comincia la sua attività architettonica, inaugurando un gusto destinato a fare la storia. Il termine Barocco viene usato per la prima volta da Francesco Milizia, probabilmente dalla traduzione dell’espressione portoghese “aljofre baroco” cioè “perla irregolare“. Senza l’intervento di Bernini, forse questo termine avrebbe continuato a portare con sé l’accezione negativa che lo ha spesso caratterizzato.
Il pathos nelle opere di Bernini
Sin dalle prime opere scultoree realizzate negli anni ‘20, come Apollo e Dafne o David, entrambe conservate oggi presso la Galleria Borghese di Roma, Bernini mostra la sua volontà di stupire il pubblico. Le sue creazioni, dove il marmo prende vita sotti i colpi di scalpello, hanno bisogno di essere guardate a 360° per cogliere quella cura quasi maniacale del dettaglio che contraddistingue il capolavoro. Le posizioni ardite dei personaggi, la tensione della muscolatura e la forza espressiva del pathos lasciano a bocca aperta ogni spettatore.
Sebbene in misura diversa, la concentrazione sull’espressione del volto torna anche in un’altra celebre produzione di Gian Lorenzo Bernini. I numerosi ritratti papali che scolpisce, quasi tutti a mezzobusto, immortalano i pontefici con autorità , ma anche con un’estrema sensibilità del modellato. Il volto dello stupore caratterizza anche la figura di Santa Teresa d’Avila, nella Cappella Cornaro presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria. L’estasi della Santa è così profonda da descrivere sul suo volto un’espressione quasi erotica, che turba non poco la critica del tempo.
Il “Gran Michelangelo del suo tempo”
L’espressione massima e più apprezzata della capacità di Bernini trova riscontro nelle opere dove fonde insieme pittura, scultura e architettura, dove da vita dunque al “bel composto“. La creazione di un nuovo rapporto tra forme e spazio, l’uso della luce come vero e proprio materiale generano dei teatri dove mettere in scena il potere papale. Non resiste a questa sua abilità neppure Papa Innocenzo X che, dopo la morte di Urbano VIII suo protettore, aveva creato non pochi problemi a Bernini.
Dal Baldacchino di San Pietro, alla Cattedra, passando per la Scala Regia e il Colonnato che adorna la Piazza, Gian Lorenzo Bernini dona la maggior parte della sua vena creativa al servizio della Chiesa. Quando l’artista si spegne, nel 1680, si trova a Roma, praticamente la sua unica casa, salvo un brevissimo soggiorno a Parigi. Dopo la sua morte, si parlerà di lui, dicendo che Bernini fu nella Roma del Seicento, quello che un secolo prima di lui era stato Michelangelo Buonarroti.
Claudia Sferrazza
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