Jane Austen nel cinema: come dialogano film e romanzi?

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Di Redazione Metropolitan

Da “Emma” con Gwyneth Paltrow, a Clueless” fino a “PPZ: Pride + Prejudice + Zombie”, è innegabile che il rapporto tra Jane Austen e cinema sia stato particolarmente fortunato. Solo l’anno scorso usciva una nuova versione del classico “Emma” con l’attrice Anya Taylor-Joy, che ci avrebbe poi conquistato nel ruolo de “La regina degli scacchi”.

Parte dell’immortalità di queste storie e dei loro adattamenti cinematografici sta nell’amore che ha il pubblico moderno per i film in costume. Tuttavia, molto si deve anche all’opera originale e alla capacità dell’autrice britannica di costruire un interessante sistema di personaggi e delle figure femminili profonde, coerenti e capaci di condurci nel mondo attraverso i propri occhi e i propri metri di giudizio.

Tre tipi di adattamenti di Jane Austen nel cinema: l’“Hollywood Style”

Secondo la studiosa Linda V. Troost, nella storia delle trasposizioni di Jane Austen (come di altri grandi autori classici) si sono presentati tre tipi di adattamenti. Il primo è l’adattamento in stile Hollywood. I segni distintivi sono: libertà dal rispetto dell’intreccio, un’impostazione leggera, che aggira questioni come le differenze di classe, e la star al centro del film.

Questo è un aspetto non di poco conto. Jane Austen nei suoi romanzi punta al pluralismo dei punti di vista, a caratterizzare i personaggi attraverso le loro parole, attraverso il modo in cui intervengono, in cui interagiscono o meno. In quest’ottica è cruciale il modo in cui si scelgono di rappresentare gli interventi dei personaggi nella costruzione del testo.

Si pensi solo alla distanza tra il discorso diretto libero della romantica Marianne e il discorso indiretto della sorella Elinor nella versione originale di “Ragione e Sentimento”. Una pellicola come “Emma” del 1996, al contrario, si focalizza solo sul punto di vista della protagonista del titolo e lascia nell’ombra le personalità sfaccettate di altri personaggi, per dare più risonanza alla star hollywoodiana.

Il recupero della tradizione

Il secondo tipo di adattamento chiamato in causa da Troost è l’“Heritage Style”, lo stile della tradizione. Si tratta dello stile adottato dalle serie televisive della BBC, con uno sguardo molto più attento all’autenticità storica e alla fedeltà al testo.

Il primo esempio di questo modello di trasposizione è il “Pride and Prejudice” del 1980, prodotto dalla BBC e l’Australian Broadcasting Commission. Se da un lato quest’operazione fatica a intercettare l’attenzione e il gusto del pubblico moderno, ha senz’altro il merito di fungere da modello per i registi cinematografici, che cominciano a recuperare il gusto per il sapore autentico del proprio passato.

La terza via

Una volta costruita la consapevolezza del potenziale nascosto in entrambe le impostazioni, il cinema comincia ad esplorare forme ibride delle due tipologie di adattamento. Si parte dalle solide fondamenta di due modelli ormai consacrati per cercare di continuare a raccontare le belle storie a cui si torna sempre: i classici. Per farlo si cercano uno stile e delle immagini cinematografiche che possano attrarre un pubblico più ampio di quello dei serial della BBC.

Dopo un primo esperimento fallimentare nell’88, arriva “Ragione e Sentimento”, adattato da Emma Thompson per il grande schermo nel 1995. Qui la sceneggiatrice rinuncia all’assoluta fedeltà al romanzo: esagera alcuni aspetti (come la povertà della famiglia Dashwood), riscrive alcuni personaggi per esaltare i contrasti tra sorelle e personaggi in generale. In parte tradisce lo sguardo sarcastico con cui Austen guardava, ad esempio, al personaggio di Marianne, interpretato da Kate Winslet.

In questo film però, riconosciamo senz’altro un esperimento riuscito della “Fusion Adaptation“. L’accuratezza storica fa da sfondo alla narrazione, senza intaccarla con dettagli inutilmente ridondanti e ci si scosta dall’originale quanto basta. La rinuncia all’idea di adattamento come pura drammatizzazione e dialogo permette di abbracciare a pieno la dimensione più visuale del mezzo cinematografico, rendendo la visione godibile, fruibile e accessibile anche ad un nuovo pubblico di potenziali nuovi lettori.

Debora Troiani

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