Il 25 dicembre del 1983 moriva Joan Mirò i Ferrà. Le sue inconfondibili opere rappresentano una delle vette più alte dell’arte surrealista, eppure mantengono un carattere originale e unico. La varietà dei suoi capolavori spazia dalla ceramica al collage, dall’olio su tela all’incisione. Una produzione vasta, poliedrica e incessante, prova della fervida creatività di questo artista.
Dotato di un’innata curiosità, il suo carattere mite quanto appassionato lo ha sempre contraddistinto. Jacques Prévert, suo caro amico, lo definì «Un innocente col sorriso sulle labbra che passeggia nel giardino dei suoi sogni».
Joan Mirò, le sperimentazioni
Nato a Barcellona nel 1893, inizia a disegnare fin da bambino e si dedica allo studio delle arti applicate nonostante il padre volesse per lui una posizione da contabile. I suoi primi lavori da pittore professionista sono vicini ai colori vibranti dei Fauves e di Matisse. Inoltre le forme e i volumi per un certo periodo rispecchiano una sperimentazione primitivista e dadaista ma restano (e resteranno sempre) fortemente legate alla terra d’origine.
Qualunque espressione è pervasa dall’amore per le tradizioni popolari, i mestieri antichi e tutte le forme di artigianato. Lo stesso mestiere dell’artista è vissuto come un lavoro fisico e mentale:
Lavoro come un giardiniere o come un vignaiolo. Le cose maturano lentamente. Il mio vocabolario di forme, ad esempio, non l’ho scoperto in un sol colpo. Si è formato quasi mio malgrado. Le cose seguono il loro corso naturale. Crescono, maturano. Bisogna fare innesti. Bisogna irrigare, come si fa con l’insalata. Maturano nel mio spirito.
Parigi e l’età matura
A Parigi Mirò prende un profondo contatto con le nuove correnti europee, sia artistiche che di pensiero. Infatti qui conosce Picasso e dal 1920 inizia a frequentare i pittori di Montparnasse e il circolo di Tristan Tzara. Dopo una prima adesione al Cubismo, inizia a delinearsi sempre più un distacco da qualunque corrente. Già dall’opera Campo arato del 1924 le figure antropomorfe e i guizzi surreali cominciano a emergere.
La peculiarità del tutto unica dell’arte di Mirò si afferma negli anni della maturità. La riflessione sulla materia e i volumi lascia definitivamente il passo a un’estetica del fantastico. Viaggia ed espone non solo a Parigi ma anche nei Paesi Bassi e in Belgio, fino a New York. Arricchisce così il suo linguaggio che inizia ad esprimere anche con litografie e collages, molto schematici e astratti.
Gli ultimi anni
Nel corso degli anni ’50 e ’60 la palette dei colori si esemplifica e le linee si irrobustiscono. Il ruolo dei colori primari diventa centrale, le linee nere si trasformano quasi in una struttura portante di tutto il lavoro. L’ispirazione arriva sempre dall’ambiente circostante che deve essere indispensabilmente familiare, come ammette in un’intervista rilasciata alla Rai negli anni ’60:
Non potrei mai arrivare in un posto qualsiasi, prendere un pennello o uno strumento e mettermi all’opera. Devo seguire la mia ispirazione e quindi l’ambiente è fondamentale per la mia arte.
Gli ultimi anni di Joan Mirò sono più che mai prolifici. Crea centinaia di sculture in ceramica, murales, pitture su vetro e mosaici come quello della Rambla e dell’Aeroporto del Prat di Barcellona. Disegna persino il manifesto ufficiale del campionato mondiale di calcio 1982, appena un anno prima della morte a Majorca sopraggiunta all’età di 90 anni.
Immagine di copertina: Joan Mirò nel suo atelier – Photo credits: pinterest.it
di Flavia Sciortino
Seguici su